La Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha adottato mercoledì 29 settembre, una proposta di legge per aumentare le tasse sulle importazione anche nei confronti dei paesi che fanno concorrenza con metodi illeciti. Il risultato è stato uno schiacciante voto bipartisan: 249 democratici e 99 repubblicani hanno votato a favore, 74 democratici e 5 repubblicani contro. Il testo, che deve essere sottoposto al Senato, prima della sua promulgazione da parte del presidente Barack Obama prevede che il Dipartimento del Commercio possa trattare 'fondamentalmente cambi sottovalutati' come sovvenzioni illegali per le esportazioni, consentendo alle aziende di ottenere un risarcimento. Un messaggio con destinazione Cina perché, secondo il giudizio di Washington, sottovaluta volontariamente la propria moneta, lo yuan (o renminbi), per incoraggiare le esportazioni e ridurre il consumo di prodotti stranieri. La Cina oggi si è opposta fermamente al testo, perchè ritiene che non sia in conformità con le regole della World Trade Organization e potrà seriamente nuocere ai rapporti commerciali sino-americani. Il deficit commerciale degli Stati Uniti con la Cina ha raggiunto i 140 miliardi di dollari (107 miliardi di euro) negli ultimi dodici mesi. Nel luglio 2010 gli Stati Uniti hanno importato 1 miliardo di dollari al giorno dalla Cina. Nelle ultime settimane, la Casa Bianca aveva moltiplicato i segnali d’insofferenza verso la politica monetaria cinese ed ora il Congresso ha voluto dare un colpo di avvertimento. Gli antefatti. Il 19 giugno, Pechino aveva lasciato in sospeso una rivalutazione della sua moneta.
Il 13 settembre, il Segretario al Tesoro Tim Geithner, ha accusato la Cina di aver effettivamente fatto poco in tre mesi lasciando apprezzare solo del 2% lo yuan.
Il 21 settembre, Obama ha chiesto a Pechino di 'fare di più'. Il mercoledì precedente la sessione della Camera dei rappresentanti, aveva discusso della necessità di fare pressione sulla Cina perché facesse apprezzare la sua moneta. A circa un mese dal 2 novembre, giorno di nuove elezioni parlamentari, tutta l'Assemblea e un terzo del Senato saranno rinnovati, la tentazione per i politici di assecondare un elettorato che ha fatto dell'eliminazione della disoccupazione, la questione elettorale principale, è molto forte.
Tanto più che le tendenze protezionistiche sono state rafforzate, da qui il massiccio voto della Camera dei Rappresentanti. Questo voto si colloca dentro un periodo di scontri e riconciliazioni tra Washington e Pechino sulle questioni monetarie e commerciali. Sullo sfondo del conflitto c’è la sensazione della élite USA di una inesorabile spinta dell'economia cinese ad occupare sempre più spazi economici e di un concomitante declino dell'America, in un contesto di riduzione delle attività industriali.
Uno studio di Moody's Analytics, sull’industria manifatturiera degli Stati Uniti riscontra che nel 1953 vi era, rispetto al PIL, una produzione nazionale del 28,3%, scesa nel 2009 a non più del 11%. Per mangiare, vestirsi, arredare e, sempre più dotarsi di computer, gli americani consumano prodotti realizzati altrove, principalmente in Cina.
Da una parte c’è il Senatore democratico Charles Schumer che dichiara che i cinesi devono capire che l’impegno americano nella lotta contro la manipolazione della loro valuta è forte. Dall’altra, quasi sull’ala sinistra dello schieramento politico, Steve Clemons, assistente direttore del think tank New America Fondazione a Washington, che ha scritto in un recente articolo: 'L'America non deve andare molto lontano nella ricerca di una scusa contro la Cina per il suo attuale malessere. (...) Piuttosto, deve assumersi la responsabilità, la produzione di beni e ricostruire la sua capacità di innovazione. "
Molti analisti considerano le sanzioni non realistiche soprattutto alla luce delle tendenze dell'economia globale. Una recente analisi del Congressional Budget Office stima in 20 miliardi di dollari i proventi di tali sanzioni, sette volte meno del deficit commerciale Usa-Cina annuale a tassi correnti.
Il 21 settembre, Obama ha chiesto a Pechino di 'fare di più'. Il mercoledì precedente la sessione della Camera dei rappresentanti, aveva discusso della necessità di fare pressione sulla Cina perché facesse apprezzare la sua moneta. A circa un mese dal 2 novembre, giorno di nuove elezioni parlamentari, tutta l'Assemblea e un terzo del Senato saranno rinnovati, la tentazione per i politici di assecondare un elettorato che ha fatto dell'eliminazione della disoccupazione, la questione elettorale principale, è molto forte.
Tanto più che le tendenze protezionistiche sono state rafforzate, da qui il massiccio voto della Camera dei Rappresentanti. Questo voto si colloca dentro un periodo di scontri e riconciliazioni tra Washington e Pechino sulle questioni monetarie e commerciali. Sullo sfondo del conflitto c’è la sensazione della élite USA di una inesorabile spinta dell'economia cinese ad occupare sempre più spazi economici e di un concomitante declino dell'America, in un contesto di riduzione delle attività industriali.
Uno studio di Moody's Analytics, sull’industria manifatturiera degli Stati Uniti riscontra che nel 1953 vi era, rispetto al PIL, una produzione nazionale del 28,3%, scesa nel 2009 a non più del 11%. Per mangiare, vestirsi, arredare e, sempre più dotarsi di computer, gli americani consumano prodotti realizzati altrove, principalmente in Cina.
Da una parte c’è il Senatore democratico Charles Schumer che dichiara che i cinesi devono capire che l’impegno americano nella lotta contro la manipolazione della loro valuta è forte. Dall’altra, quasi sull’ala sinistra dello schieramento politico, Steve Clemons, assistente direttore del think tank New America Fondazione a Washington, che ha scritto in un recente articolo: 'L'America non deve andare molto lontano nella ricerca di una scusa contro la Cina per il suo attuale malessere. (...) Piuttosto, deve assumersi la responsabilità, la produzione di beni e ricostruire la sua capacità di innovazione. "
Molti analisti considerano le sanzioni non realistiche soprattutto alla luce delle tendenze dell'economia globale. Una recente analisi del Congressional Budget Office stima in 20 miliardi di dollari i proventi di tali sanzioni, sette volte meno del deficit commerciale Usa-Cina annuale a tassi correnti.
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