giovedì 31 marzo 2011

Gren Bretagna: tra marce di proteste, inflazione e tagli alla spesa pubblica

Circa 400.000 persone hanno aderito alla marcia di protesta della settimana scorsa a Londra per opporsi ai tagli della spesa che la coalizione vuole applicare al paese. C'erano molti membri dell'intellighenzia: docenti, giornalisti, persone da parte dei media, studenti, medici, oltre a tutti i lavoratori e funzionari dei servizi pubblici. Il punto è che il livello di vita del Regno Unito è sotto attacco. Non è una questione di riduzione del deficit: per le persone presenti i tagli sono sbagliati. Hanno sfilato quelli che si prendono cura degli anziani, i docenti, gli spazzini e i pompieri. I poliziotti, i ferrovieri, i forestali, gli artisti e i dipendenti della BBC World Service che aiutano coloro che non riescono a trovare un lavoro. Nella politica fiscale del Governo molti hanno parlato di atti di vandalismo economico e sociale. Il cancelliere dello Scacchiere britannico George Osborne aveva promesso un "budget per la crescita", ma ha le mani legate. L'economia britannica cresce meno del previsto (solo +1,4% nel 2010, la previsione per quest'anno è stata oggi ridotta dal 2,1% all'+1,7%), l'inflazione continua a salire e in questi giorni ha toccato il 4,4%, il deficit è una montagna di 150 miliardi di sterline. Inoltre la Gran Bretagna potrebbe perdere il suo pregiato rating AAA se le più recenti previsioni di crescita di George Osborne dovessero rivelarsi troppo ottimistiche, ha avvertito l'agenzia di rating Moody's. Secondo Moody's allo stato attuale delle cose non ci sono grandi possibilità di crescita economica del Regno Unito ce è in ritardo sulle iniziative di riforme economiche. Ecco perchè se le previsioni di Osborne non saranno pienamente realizzate si creerà un rischio significativo per la Gran Bretagna di essere declassati. Nell'ottica di correre ai ripari si deve leggere la volontà del Governo britannico, il giorno dopo la nuova manovra finanziaria, di voler far cassa vendendo le quote di Lloyds Banking Group e di Royal Bank of Scotland che sono in mano al Tesoro in seguito al salvataggio delle due banche durante le crisi finanziaria. L'obiettivo sarebbe raccogliere circa 66 miliardi di sterline per riempire i vuoti forzieri di Stato prima delle prossime elezioni previste nel 2015. I proventi della privatizzazione delle due banche permetterebbero al Governo di ridurre le tasse e avviare altre misure popolari in vista del voto, scrollandosi di dosso l'appellativo di ‘coalizione dei tagli'.

mercoledì 30 marzo 2011

Summit europeo, solo una tappa

Un'attenta lettura del comunicato ufficiale del Summit europeo ha confermato le attese: se da un lato non è stato raggiunto un accordo sulle modalità di reperimento dei fondi per l’ampliamento della capacità di finanziamento dell’EFSF (European Financial Stability Facility) a 440 miliardi di euro, dall’altra si sono fatti buoni passi in avanti nella definizione dell’ESM (European Stability Mechanism, in vigore dal 2013). Quest’ultimo avrà una capacità di prestito effettiva di 500 mld di € a fronte di un capitale sottoscritto di 700 mld di euro, derivanti dalla somma di 620 mld di garanzie e capitali esigibili e 80 mld che gli Stati membri dovranno versare a partire dal 2013 in 5 pagamenti annuali di pari ammontare, rateazione fortemente voluta dalla Germania. Le singole contribuzioni saranno commisurate alla quota di capitale detenuta in BCE da ciascun paese e gli Stati potrebbero, se si rendesse necessario, essere costretti ad accelerare i pagamenti. All’ESM sarà riconosciuta la possibilità di fornire prestiti agli Stati in difficoltà, che saranno però condizionati all’implementazione di programmi di aggiustamento macroeconomico e fiscale; in aggiunta il nuovo fondo potrà intervenire per sottoscrivere titoli di stato in emissione. Il regolamento dell’ESM prevederà una precisa griglia per stabilire l'interesse sui prestiti concessi e, a partire dal 2013, introdurrà l’obbligo per gli Stati insolventi di far partecipare il settore privato alle perdite derivanti dalla ristrutturazione del debito pubblico. La principale novità in tal senso è legata, infatti, all’introduzione delle clausole d’azione collettiva (CAC), che dovranno essere standardizzate e obbligatorie per le emissioni di tutti gli Stati membri dell’area euro.

lunedì 28 marzo 2011

Germania: La grande industria va bene, Volkswagen e Lufthansa in testa, la politica no

I giornali odierni annunciano a grandi titoli la sconfitta elettorale del centro destra del cancelliere Angela Merkel alle elezioni in due importanti land della Repubblica Federale. Secondo gli exit poll, c'è un forte successo dei Verdi arrivati al 25% che potrebbero formare un’alleanza di governo con i socialdemocratici al 23%, mentre le forze di governo hanno perso il controllo dell’importante land del Baden Wuerttemberg, dove la Cdu della Merkel ha ottenuto il 38% e i liberali del ministro degli Esteri Guido Westerwelle hanno appena superato la soglia di sbarramento del 5%. Nel land più piccolo della Renania Palatinato, la Cdu è rimasta stabile al 34%, ma i liberali assieme ai quali governava in questo stato non hanno superato la soglia del 5%. I verdi hanno ottenuto il 17% e i socialdemocratici il 35% e potranno quindi governare assieme. Inoltre se i dati saranno confermati in pieno dallo spoglio, significa anche che il governo perde la maggioranza al Bundesrat, la camera alta del Parlamento. Tutt'altra musica nel settore della grande industria. VW Group vuole conquistare la prima posizione come produttore di automobili nei prossimi cinque anni. A tal fine, continua a lanciare modelli e a coprire tutte le nicchie. Amarok è il caso, un pick-up di 5,25 metri di lunghezza e doppia cabina, i cui prezzi partono da 26.885 €. L'Amarok è un camioncino, per cui ha differenziato lo spazio tra cabina e merci. E’ omologato per cinque occupanti con la cabina doppia (due file di sedili) e la capacità di carico è di 2,52 mq. Questo modello Volkswagen è stato presentato al mercato spagnolo con due motori diesel da 122 cavalli e 163, insieme ad un cambio manuale a sei marce o trasmissione automatica opzionale. Anche Lufthansa ha archiviato il 2010 con un utile operativo di 876 milioni di € superando di oltre sei volte gli utili dell'anno precedente pari a 130 milioni di €. Il risultato del gruppo passa a 1,1 miliardi di euro, segnando un incremento di 1,2 miliardi di euro. Anche gli azionisti beneficeranno del risultato ricevendo un dividendo di 60 centesimi ad azione. Questo è stato possibile anche perché gli effetti negativi sul risultato economico quali il rigido inverno nei mesi di gennaio e dicembre, lo sciopero dei piloti ed i blocchi del traffico aereo di diversi giorni in seguito all'eruzione del vulcano in Islanda sono stati assorbiti dal gruppo meglio di quanto previsto a metà dell'anno. Decisivi sono stati l'incremento della domanda, il miglioramento del trasporto passeggeri internazionale e del trasporto merci, come anche il rispetto delle misure per la riduzione dei costi in tutte le divisioni del gruppo e la realizzazione di sinergie nell'unione delle Compagnie aeree. Tornando ai risultati, il fatturato del gruppo Lufthansa nell'anno di esercizio 2010 è stato di 27,3 miliardi di euro, il 22,6% in più rispetto all'anno precedente. Il fatturato del traffico è cresciuto del 26,5 % passando a 22,3 miliardi di euro. Complessivamente i ricavi del gruppo sono passati nel a 30,1 miliardi di euro, con un incremento del 20,4%. I tre valori sono cresciuti complessivamente del 14,4 % (fatturato), 16,2 % (ricavi da trasporto) e 12,6 % (ricavi aziendali). L'azienda ha affermato che ci sono i presupposti per la distribuzione di un dividendo anche nel 2011. Christoph Franz ha sottolineato: "Il 2011 non sarà una passeggiata. La concorrenza sulle tratte europee e sui lunghi tratti verso l'Asia e l'America è sempre più agguerrita. L'imposta sul trasporto aereo colpisce sensibilmente le Compagnie aeree europee ed i suoi passeggeri. I costi del cherosene sono a valori record e continuano a crescere. Attualmente l'azienda prevede anche per il 2012 un andamento positivo del fatturato e del risultato. I presupposti sono l'arretramento delle dinamiche congiunturali previste e un andamento commerciale che non venga pregiudicato da un incremento sproporzionale dei prezzi del carburante o da altri fattori imprevedibili.

giovedì 24 marzo 2011

Azioni, obbligazioni e aspettative nella prossima settimana

La BCE continua a mandare segnali di avvio di manovre restrittive. I rialzi dei tassi saranno probabilmente concentrati nel 2° trimestre, favorendo una maggiore redditività del comparto monetario. Una particolare attenzione va riservata ai bond di Portogallo e Spagna. Il Portogallo per l’abbassamento odierno del rating di ben due livelli, la Spagna per l’abbassamento del rating di ben 30 banche, con l’eccezione delle tre più grandi. Nel complesso dovrebbe essere positivo l'andamento del settore azionario nonostante qualche correzioni per gli effetti del conflitto in Libia, il riaccendersi di scontri in Siria e nei paesi del Medio Oriente. Poi c'è la crisi giapponese e i costi dei danni subiti da quella economia, che sono già saliti ad oggi, secondo valutazione del governo locale ad oltre 260 miliardi di €. Comunque la situazione, grazie alla prosecuzione di una buona crescita economica globale, anche se inferiore rispetto ai precedenti riavvii del ciclo economico, e a risultati societari mediamente buoni, non lascia prevedere trend negativi a breve. La crisi giapponese ha dato sostegno, al comparto governativo, che si avvia invece ad essere penalizzato dalle manovre restrittive delle Banche centrali già nel 2° trimestre 2011, nonostante il rialzo dei tassi in Europa sia in parte scontato dai mercati. L’area statunitense resta favorita da una politica monetaria più accomodante e da una maggiore crescita economica, sebbene debba essere tenuto in considerazione il rischio cambio. Resta favorevole il rapporto rischio/rendimento per l’Italia. L’effetto sfavorevole del rialzo dei tassi sul comparto obbligazionario è destinato a farsi sentire anche sulle obbligazioni cosiddette “a spread” (obbligazioni corporate e di Paesi Emergenti), limitandone le performance. Le valute restano caratterizzate da un’elevata volatilità, giustificata dai problemi dei periferici, dalla crisi di Nord Africa e Medio Oriente e del Giappone, nonché dalle diverse scelte monetarie di Fed e BCE e dalle manovre restrittive di molti Paesi Emergenti.

mercoledì 23 marzo 2011

L'inflazione in Gran Bretagna vicina al 5%

Per l'aumento dell'inflazione l'eventuale aumento del costo del denaro potrebbe non essere la soluzione del problema per la Gran Bretagna perchè la crescita dei prezzi è dovuta a fattori esterni, come il rialzo del prezzo del greggio, delle materie prime, soprattutto nel campo delle derrate alimentari e che quindi, anche alzando i tassi, la BoE potrebbe ottenere un risultato limitato. La questione è particolarmente delicata in un paese dove la spesa dei consumatori conta per circa i 2/3 del PIL. Nel mercato non si esclude che Bank of England possa avviare una stretta già in maggio, dato che il ritmo d’ incremento dei prezzi al consumo viaggia a livelli doppi rispetto al desiderato 2% e il rapporto sull'inflazione della banca centrale prevede picchi tra il 4 e il 5% verso metà anno. Ora il focus degli investitori è sulla pubblicazione dei verbali della riunione del Consiglio di politica monetaria della BoE in agenda domani. Ma né la Banca d'Inghilterra (BOE), ne il ministro delle Finanze, George Osborne, che mercoledì scorso ha presentato il bilancio, hanno altra scelta. L'Istituto di studi fiscali ha stimato che i redditi reali delle famiglie sono scesi dell' 1,6% tra il 2008 e il 2011, il più grande declino in tre anni dal periodo 1980-1983. Ciò suggerisce che l'inflazione potrebbe provocare un drastico calo della domanda se i contratti di lavoro non dovessero essere rinnovati e gli effetti fiscali di sostegno dovessero scomparire. Eppure, il settore manifatturiero sembra tendere ad aumentare i prezzi, in modo che il MPC può essere costretto a rivedere le aliquote fiscali verso l'alto. Tuttavia, un aumento dei tassi d'interesse minaccia la crescita e gli obiettivi fiscali del governo. L'emissione di debito a febbraio sono state di gran lunga superiori alle previsioni, 11.800 milioni di sterline (€ 13.521.000), che comunque sono una riduzione del disavanzo previsto per quest'anno. In ogni caso, le emissioni nel periodo 2010-2011 non dovrebbero superare le previsioni dell'Ufficio del Bilancio di responsabilità, che ammontano a 148,5 miliardi di sterline, ma il margine si sta riducendo. Un rallentamento dell'economia ridurrebbe le entrate fiscali, mentre l'inflazione potrebbe aumentare la spesa pubblica, rischiando il taglio del deficit nei prossimi anni. Osborne ha già indicato che non vi sarà alcun cambiamento notevole del bilancio e nella politica fiscale. In realtà, egli non ha altra scelta che seguire il percorso che ha già impostato. La politica fiscale e la politica monetaria vanno di pari passo. Per ora, l'aggiustamento fiscale avviene compensando le preoccupazioni per l'inflazione, mantenendo un debito a basso costo e il vincolo decennale di deficit al 3,6%. Ciò è essenziale se si considera che nel prossimo anno fiscale, le emissioni saranno di un importo compreso tra 160 e i 170 miliardi di sterline. Mantenere l'attuale politica fiscale è difficile, ma rimane l'opzione migliore.

martedì 22 marzo 2011

L'inflazione ferma i consumi in Italia

Secondo Confcommercio, già nel gennaio di quest'anno numerose associazioni imprenditoriali avevano manifestato preoccupazioni circa una prossima ripresa della crescita dei prezzi al consumo. Federgrossisti aveva fatto presente che il prezzo dello zucchero, tra settembre 2010 e gennaio 2011 aveva registrato incrementi del prezzo pari al 26%; anche Assolatte e Federalimentare avevano segnalato che nella prima parte del mese di febbraio 2011, a causa dell'incremento dei prezzi delle materie prime, aumenti dei prezzi di cessione al settore distributivo non sarebbero stati più differibili. Alla base di queste preoccupazioni, condivise anche dalle istituzioni ( confermate, tra l'altro, anche dal Bollettino mensile di febbraio 2011 della BCE), ci sono le tensioni che si stanno registrando sui prezzi di diverse materie prime negoziate sui mercati internazionali. Tensioni che cominciano ad avvertirsi anche su molti prodotti attraverso richieste di aumenti di listino, da parte dell'industria nei confronti del commercio, nella fase di definizione dei nuovi contratti di fornitura. Nel complesso, numerosi eventi avversi sotto il profilo climatico, accaduti nel corso del 2010, hanno contribuito a spingere al rialzo i prezzi delle materie prime alimentari (temperature rigide negli Usa, alluvioni in Australia e Asia, siccità e incendi in Russia). L'incertezza politica nei paesi del Maghreb, esplosa in modo drammatico in questi giorni, sta alimentando tensioni sui prezzi del petrolio, con immediate ripercussioni sui costi dei trasporti. In generale, anche la speculazione sulle commodities gioca un ruolo, sebbene dal punto di vista tecnico, gli studi effettuati sulla crisi 2007-2008 non hanno portato a evidenze conclusive sulla relazione tra speculazione finanziaria e crescita dei prezzi delle materie prime. Per queste ragioni e per le difficoltà che le famiglie hanno anche di trovare nuovi posti di lavoro, soprattutto da parte delle fasce deboli: donne, giovani, ultra-cinquantenni espulsi dal ciclo produttivo, i consumi reali in Italia di fatto si sono fermati. L'Ufficio Studi di Confcommercio ha stimato che, oggi, ogni italiano dispone, a parità di potere d'acquisto, mediamente di 570 euro all'anno in meno rispetto al primo trimestre del 2007. Dal 2001, secondo Confcommercio, la crescita dei consumi pro capite si ferma al +0,1% annuo. Tra il primo trimestre del 2007 e il minimo del secondo trimestre del 2009, i consumi hanno subito una riduzione complessiva del 4,3%. "Considerando per il futuro una crescita della spesa reale pro-capite superiore ai tassi sperimentati nel periodo pre-crisi, rimarca Confcommercio, alla fine del 2014 non avremo recuperato completamente neppure i livelli d'inizio 2007". Secondo il direttore dell'Ufficio Studi, Mariano Bella, oltre al naturale riflesso negativo in termini di benessere e tenore di vita, il calo dei consumi ha un effetto bloccante sulla crescita economica, e quindi del PIL. Se manca lo stimolo proveniente dalla domanda interna e in particolare dai consumi, sottolinea il rapporto, le imprese non investiranno a sufficienza e non faranno richiesta di nuovi lavoratori da impiegare nei processi produttivi. La ricetta per far ripartire i consumi? Confcommercio ritiene necessario un abbassamento delle tasse su lavoratori e imprese e portare avanti le riforme strutturali, partendo da due problemi: la disoccupazione giovanile e il Mezzogiorno. Un terzo della perdita dei consumi è imputabile infatti alla disoccupazione.

lunedì 21 marzo 2011

L’energia nucleare ha meno fans nel mondo

La Casa Bianca ha iniziato ad alzare le difese davanti al disastro nucleare in Giappone. Gli USA non dimenticano uno degli incidenti nucleari avvenuto in casa propria nel marzo 1979 a Three Mile Island (Pennsylvania). Non ha causato morti, però 200.000 persone sono fuggite dalle proprie case. Negli Stati Uniti non hanno ancora affilate le spade per un taglio e preferiscono prendere una lezione di storia di quel tragico disastro. Il fatto non sorprende perché è il paese con più centrali nucleari ed è il più grande produttore al mondo. Sono 104 gl’impianti che producono un quinto di tutta l'energia degli Stati Uniti. Secondo i dati di International Energy Agency (IAEA) altre 30 sono in attesa di essere costruite. Il calcolo è basato sulla difesa che il Presidente Obama fa del settore dell'energia nucleare. "Nulla è completamente sicuro e non c'è nulla di molto pericoloso," dice.
La Francia, è un paese inconcepibile senza centrali nucleari, dalle quali ottiene l'80% della sua elettricità prodotta da 58 reattori, lo scenario di un futuro libero dal nucleare è impensabile. Oggi, terza potenza nucleare al mondo, a partire dal 2000 il paese ha dato nuovo impulso a questo tipo di energia in risposta all'aumento dei prezzi petroliferi e per ridurre la sua dipendenza energetica. Il Giappone ha aperto il dibattito sulla transizione verso l'energia prodotta da altri settori più sicuri, ma gli scenari che vengono sollevati non sono realizzabili nel breve termine. Gli esperti avvertono che senza l'energia nucleare sarebbero pesanti le conseguenze economiche e sociali: decine di migliaia di persone perderebbero il lavoro e i prezzi dell'energia elettrica schizzerebbe alle stelle. Inoltre, i tagli di potenza sarebbero moltiplicati per l'incapacità di dare una risposta termica alla domanda.
In Cina c’è il problema dell'inquinamento. Pechino ha deciso mercoledì di congelare il programma nucleare uno dei più ambiziosi del mondo, con più di due dozzine d’ impianti in costruzione e molti altri nel processo di pianificazione. Questo cambiamento di politica è venuto solo due giorni dopo che Pechino aveva deciso di quadruplicare gl'impianti in esercizio entro il 2015. Attualmente la Cina dispone di 13 impianti in funzione. Ci sono molti che s'interrogano sulla portata di questa decisione. Se la sospensione viene mantenuta a lungo termine, la Cina avrà notevoli difficoltà nel soddisfare gl’ impegni internazionali e gli obiettivi della politica di efficienza energetica e di riduzione dell'inquinamento. La Cina è il più grande inquinatore del mondo, spende il 18% dell'energia generata in tutto il mondo e il suo consumo aumenta di circa l'8% all'anno.
In Germania il Cancelliere Merkel ha iniziato una pausa di riflessione. Inoltre iniziano ad essere contrari a questo tecnologia anche gl’industriali tedeschi e i lavoratori. Il consiglio dei Saggi, un comitato di consulenza del governo ha evidenziato che con gl’investimenti in atto si può ragionelvomente pensare che nel 2050 il paese può essere alimentato solo con impianti di energie rinnovabili.

sabato 19 marzo 2011

Crisi del Giappone e prezzo del petrolio

Un barile di greggio Brent del Mare del Nord per consegna aprile scambiato a 110,08 dollari sul InterContinental Exchange (ICE) di Londra, è in calo di 3,59 dollari rispetto alla chiusura di venerdì. Era già sceso brevemente sotto i 110 $ per la prima volta dal 24 febbraio. Sul New York Mercantile Exchange (Nymex), un barile di "greggio light sweet"(WTI) nello stesso periodo è crollato di 3,27 $ a 97,92 $ dopo essere scivolato al livello più basso in due settimane da 98,34 $. I petrolieri sono preoccupati per un eventuale declino repentino della domanda di greggio proveniente dal Giappone, paese terzo consumatore del mondo. 'Nel breve termine, con la chiusura della capacità di raffinazione di 1,2 milioni di barili al giorno (un terzo della capacità del paese), l'impatto è negativo per i prezzi del petrolio', perché questo implica un decremento netto delle importazioni da parte del Giappone, ha commentato Christophe Barret, di Credit Agricole. I prezzi del petrolio sono crollati martedì 15 marzo, il mercato continua ad essere allarmato per le conseguenze del terremoto che ha colpito il Giappone, mentre dal sito nucleare di Fukushima le sue emissioni radioattive, dichiarate “potenzialmente letali” da esperti USA si sono intensificate. Inoltre, molti analisti valutano che la distruzione materiale di grandi fasce di territorio, il razionamento di energia elettrica e i danni alle infrastrutture penalizzeranno, a breve termine, la crescita economica del Giappone, con possibili ripercussioni sul contesto economico mondiale. Nel medio termine, tuttavia, il Giappone potrebbe utilizzare di più gl' idrocarburi (gas e petrolio) per la produzione di energia elettrica per compensare la chiusura di centrali nucleari in tutto l'arcipelago, che serviranno ad aumentare il suo consumo di petrolio.
Inoltre, una recrudescenza dei rischi geopolitici in Nord Africa e in Medio Oriente continua a fornire il supporto all’escalation dei prezzi', ha aggiunto Christopher Barret. In Libia, il colonnello Muammar Gheddafi in questo week-end dovrà probabilmente affrontare i raid aerei delle forze dei paesi che hanno aderito alle richieste delle Nazioni Unite sull'imposizione della "no fly zone". Nell’accavallarsi di notizie, sembra che le forze di terra del colonnello continuano la loro avanzata verso la 'capitale' dei ribelli, Bengasi. La produzione di petrolio libico fino ad oggi è quasi ad un punto morto a causa dei combattimenti, ha detto martedì l'Agenzia internazionale dell'energia (AIE). In Bahrain, le tensioni sono cresciute dopo il dispiegamento di truppe nel Golfo arrivate in aiuto della dinastia sunnita degli Al-Khalifa per contenere la protesta sciita. Insomma si prepara una settimana di fuoco su prezzi e oscillazioni borsistiche.

giovedì 17 marzo 2011

Rapporti economici UE-Brasile: nuova primavera

EUBrasil, l'associazione per lo sviluppo delle relazioni tra il Brasile e l'Europa, ha annunciato che, allo scopo di promuovere relazioni più strette tra il Brasile e la Comunità europea, ha concluso un accordo di cooperazione con la Deutsche Messe AG, per eseguire il vertice "Agenda digitale per il Brasile", durante il BITS - Business IT Sud America, a Porto Alegre. L'evento si terrà il 10 maggio e vedrà la partecipazione di rappresentanti delle istituzioni del nuovo governo brasiliano ed europeo, i regolatori e i rappresentanti d' industrie brasiliane ed europee delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. La stampa brasiliana ha recentemente annunciato che Dilma Vana Rousseff Linharese, attuale presidente del Brasile, in carica dal gennaio di quest’anno, sta progettando i suoi primi viaggi all'estero, che avverranno nella prima metà dell'anno. Oltre alle visite ai paesi vicini e agli altri Stati membri del Mercosur, il nuovo presidente del Brasile, visiterà anche gli Stati Uniti e Cina. E’, secondo molti economisti, certamente un segnale politico positivo, che il Presidente abbia incluso, tra le sue prime visite all'estero, anche Bruxelles capitale delle istituzioni europee. Queste occasioni all’inizio di un impegno presidenziale di governo rappresentano un'occasione unica per stabilire un rapporto sempre più forte tra il Brasile e l'Europa, ma anche per definire e sviluppare una più ambiziosa politica economica e una nuova agenda tra le due aree "."La cooperazione tra il Brasile e l'Unione europea oggi è più vicina - dice Alfredo Valladao, membro del Consiglio di Amministrazione e Presidente del EUBrasil Advisory Board - attraverso l'alleanza strategica fondata nel 2007 e fortemente sponsorizzata da José Manuel Barroso, presidente della Commissione europea. Grazie a questo accordo, il Brasile e l'Europa potrebbero ulteriormente rafforzare le relazioni nei settori strategici come energia, trasporti, infrastrutture, telecomunicazioni e proprietà intellettuale. Il Brasile è oggi l’ottava potenza economica del mondo e presenta indici di crescita ininterrotta. Le possibilità di cooperazione economica e commerciale sono ancora enormi. Il dialogo istituzionale tra Brasile e l’ Europa potrebbe portare ad un'ulteriore crescita economica in favore delle due aree, grazie a maggiori investimenti, commercio e l'adozione di una cabina di regia comune. L'Europa conta per circa la metà degli investimenti stranieri in Brasile e un quarto degli scambi commerciali del Brasile è con l'Europa. L’Europa investe in Brasile più di quanto investe negli altri paesi del Bric (Cina, India e Russia) messi insieme. Bruxelles sta avendo e avrà un ruolo sempre più importante anche come regolatore, per l'impostazione attuale, per le disposizioni che hanno un impatto globale e per l'importanza per il futuro dell’economia brasiliana ed europea. Oggi, le barriere non tariffarie sono quelle che possono determinare lo sviluppo degli investimenti e scambi commerciali e sono un elemento che si concentra sulla competitività delle imprese europee e brasiliane sui mercati internazionali.

mercoledì 16 marzo 2011

Rating del Portogallo scende da A1 ad A3

Durante la notte è arrivata la notizia che Moody's ha tagliato il rating di lungo termine del Portogallo da "A1" ad "A3" con outlook negativo, anche il rating del debito di breve termine è sceso da "Prime 1" a "Prime 2". Le decisioni, Moody's, le ha motivate per le "prospettive di crescita contenuta", e per le difficoltà del governo di centrare i target fiscali prefissati, per cui esiste, nel prossimo futuro, una possibile necessità di aiuti finanziari per sostenere le banche e le istituzioni legati al governo. La mossa di Moody's, nella pronta reazione del governo portoghese è stata definita ''prematura''. Nella giornata di ieri il primo ministro Jose Socrates, aveva con le sue parole rafforzato il rischio che il paese sia costretto alla fine a chiedere un aiuto alla UE in quanto i problemi di questo paese sono di natura strutturale perchè ha una crescita nominale molto bassa rispetto al costo del debito. Questa mattina il Portogallo ha collocato titoli annuali per un miliardo di euro, a fronte di rendimenti ancora in crescita. Lisbona ha piazzato titoli a 12 mesi con rendimenti saliti al 4,331% da 4,057%. A febbraio per raccogliere lo stesso importo aveva speso il 3,99%. Sul mercato secondario i titoli con scadenza a febbraio 2012 vengono scambiati a un rendimento del 4,32%. Nei fatti, l'esito dell'odierna asta allinea le nuove emissioni di titoli a 12 mesi ai rendimenti prevalenti sul mercato secondario. Sul mercato dei titoli di stato a lungo termine, i bond portoghesi a 10 anni hanno accusato il colpo e lo spread con i titoli decennali tedeschi è salito a 432 punti, il rendimento è aumentato al 7,49%, peggio fanno solo Irlanda e Grecia. Tassi sopra il 7% anche per i titoli a cinque anni. Il governo portoghese ha dichiarato che si tratta di costi insopportabili per il paese. In vista ci sono importanti scadenze, una sorta di forca caudina dove potrebbe scattare l'agguato della speculazione. Ad aprile, Lisbona dovrà rinnovare bond quinquennali per 4,3 miliardi di euro, poi a giugno deve raccogliere altri 4,9 miliardi per rinnovare i bond decennali in scadenza.

martedì 15 marzo 2011

Emissioni obbligazioni: il Belgio rinvia

Bruxelles - Dopo un anno trascorso dalle ultime elezioni, le forze politiche del Belgio ancora non hanno trovato l'accordo per formare un nuovo governo. Nel frattempo il debito pubblico ha quasi raggiunto il 100% del PIL. Le autorità belghe hanno annunciato ieri che oggi avrebbero lanciato un prestito obbligazionario in scadenza nel 2017. Le banche coordinatrici dell'emissione sono Deutsche Bank, KBC Bank e Morgan Stanley. Oggi, a causa della volatilità del mercato, hanno ritenuto di rinviare a nuova data l'emissione del prestito in seguito ai crolli della borsa di Tokyo e a catena di quasi tutte le borse asiatiche, americane ed europee. In effetti, il terremoto in Giappone e il rischio di una catastrofe nucleare stanno colpendo duramente i mercati di tutto il mondo, costringendo così anche il Belgio a rivedere i propri piani. Il capo dell'agenzia del debito belga, Anne Leclercq, ha dichiarato alla Reuters che il paese mantiene la sua intenzione di emettere il prestito rimborsabile a 6 anni. L'emissione di certificati del tesoro previsto oggi con scadenza a tre e dodici mesi, comunque, continuerà come pianificato.
In questo scenario, il Belgio è stato al centro dell’attenzione degl’investitori come uno dei possibili candidati per il piano di salvataggio in Europa.

lunedì 14 marzo 2011

I danni del terremoto in Giappone

TOKYO - Le analisi dell'impatto che il devastante terremoto e il successivo tsunami di venerdì scorso provocherà sul PIL giapponese sono molto diversificate. In termini di costi, si parla di una riduzione del 3%, e riguardo ad alcune regioni, le più colpite, anche di un impatto del 6-10%.
Secondo una stima di mercato del capo economista del Credit Suisse Giappone Hiromichi Shirakawa, è pubblicata oggi in Giappone gli eventi avrebbero causato danni economici per 150-160 miliardi di euro. La cifra corrisponde a poco meno del 40% di quella causata dal sisma di Kobe nel 1995. Sul territorio devastato dal sisma e dall'ondata da esso causato ci sono meno stabili d'uffici, fabbriche e autostrade che nella regione di Kobe, spiega l'economista. Per scongiurare una quasi paralisi del mercato finanziario, la BOJ, Banca centrale del Giappone, ha immesso sui mercati 15 mila miliardi di yen, pari a circa 160 miliardi di euro, praticamente raddoppiando i livelli di acquisto di asset. La BOJ ha iniziato oggi lunedì i versamenti nel sistema bancario nel tentativo di stabilizzare i mercati. Lo stesso Governatore della Banca del Giappone Masaaki Shirakawa ha dichiarato ai giornalisti domenica che era pronto a immettere una massiccia liquidità per contribuire ad orientare verso lo sviluppo la terza economia del mondo. Secondo gli economisti, i funzionari governativi probabilmente tenteranno di mantenere i programmi di credito a lungo termine per un totale di € 300 miliardi al tasso d'interesse principale della Banca che è già stato portato quasi a zero con le decisioni politiche dello scorso anno per cercare di porre fine deflazione della nazione. Oggi il Nikkei 225 Stock Average ha registrato un netto calo nel commercio. Il costo economico del terremoto di venerdì dipenderà anche dalla quantità di tempo in cui le fabbriche e la distribuzione di beni e servizi si fermeranno e quale sarà la confusione delle prospettive di un crollo potenziale di forniture elettriche di un impianto nucleare Da un punto di vista economico per ora, la banca centrale può garantire che le banche, le aziende e i creditori avranno denaro sufficiente per regolare le transazioni, e mirerà ad ulteriori passaggi per fornire credito nei settori del nord-est del Giappone devastati dal terremoto, dicono gli analisti.
Secondo Edward Lincoln, un professore dell'Università di New York che dirige il Center della scuola per il Giappone e gli USA Business e degli studi economici la pressioni sui prezzi può già emergere come risultato di un salto della domanda di beni dopo il terremoto.
Secondo l'agenzia di rating Moody's l'economia si riprenderà e il sisma non implica una crisi fiscale imminente. E' probabile comunque un impatto sui progressi governativi per tagliare il deficit del debito pubblico che è il più alto del mondo tra i paesi avanzati e che proprio in questo periodo l'amministrazione del premier Naoto Kan stava facendo il possibile di ridurre.
In una nota emessa stamattina, Citigroup afferma che "il terremoto metterà sotto pressione l'attività economica del paese nel breve termine" e che parte dei danni subiti probabilmente genererà una domanda per le ricostruzioni nel secondo semestre del 2011, sostenendo così l'attività economica. In ogni caso, i risultati suggeriscono che la crescita del Pil sarà inferiore alle stime del primo semestre del 2011, ma maggiore nel secondo semestre, il che indica che nell'anno fiscale 2011, il rialzo del PIL sarà del 2,1%, maggiore dello 0,2% rispetto alla precedente stima, pari all'1,9%.
Intervistato da Class Cnbc, Giorgio Arfaras del Centro Einaudi sottolinea poi che finora i mercati "si sono comportati secondo manuale" e che l'economia fletterà "ma poi si riprenderà".

sabato 12 marzo 2011

L'Euro, la moneta unica che si rafforzerà

Ieri i leader dell'Eurozona si sono riuniti, in un vertice speciale, a Bruxelles per concordare un aumento delle risorse del Relief Fund europeo per calmare le preoccupazioni del mercati finanziari riguardo la moneta unica. In serata, i capi di Stato e di governo hanno deciso in particolare di aumentare la capacità finanziaria del Fondo europeo di Soccorso, incaricato di assistere i paesi della zona euro in difficoltà. Una misura a favore degli Stati più deboli da lungo tempo richiesta dai mercati. Le risorse effettive del Fondo saranno portate a 440 miliardi di euro, contro i 250 miliardi attualmente immediatamente disponibili. Questo fondo partirà a pieno regime a metà del 2013, raggiungendo i 500 miliardi di euro, un importo che il Cancelliere tedesco Angela Merkel non intende superare. Una mini-rivoluzione, il Fondo di soccorso ora può anche intervenire direttamente con l'acquisto del debito degli stati nel mercato primario, non come oggi solo con prestiti. Il comunicato finale ha detto che questo evento deve essere eccezionale.
Anche il presidente della Francia, Nicolas Sarkozy ha accolto con favore, la fine dei negoziati con l'ampliamento della gamma di strumenti utilizzabili, che ha significativamente rafforzato la capacità della UE. Inoltre i leader della zona euro hanno concordato un ammorbidimento delle condizioni di aiuti alla Grecia. In risposta alla promessa fatta dal primo ministro greco a Bruxelles di accelerare l'attuazione del processo di privatizzazione in corso, il paese ha ottenuto una riduzione dei tassi di interesse che paga per un prestito UE, già ottenuto, dal 5,2% ad una media del 4,2%. Il periodo di rimborso è stata allungato da tre anni a sette anni e mezzo.
L'Irlanda, invece, dove il nuovo premier Enda Kenny è rimasta irremovibile su un futuro incremento del tax rate (CIT), non ha ottenuto il taglio dei tassi che voleva. "Cè sempre un dare e un avere," ha dichiarato Angela Merkel ieri sera. Molti paesi europei considerano l'effetto della pressione fiscale sulle imprese praticati da Irlanda al 12,5%, troppo basso e tale da nuocere alla competitività delle altre economie europee. Il caso irlandese sarà nuovamente discusso in un vertice UE a fine marzo.
Il Portogallo, spesso considerato come il prossimo paese della zona euro a dover usufruire degli aiuti del Fondo, ha ancora rifiutato venerdì di accettare l'aiuto degli altri paesi, nonostante le pressioni degli altri membri della zona euro. Angela Merkel, in particolare, ha voluto che sia approntato un piano di aiuti disponibile senza indugi. Nonostante il nuovo pacchetto di misure di austerità annunciate ieri dal governo portoghese, il finanziamento del debito lusitano a dieci anni, è continuato a salire e, ieri pomeriggio, ha toccato il picco di 7,79%, un livello considerato assolutamente insostenibile a lungo termine. I prossimi giorni saranno decisivi per il Portogallo. Questo discorso dovrebbe essere all'ordine del giorno dei ministri delle Finanze della zona euro e dell'UE, alla prossima riunione mensile a Bruxelles dell'Eurogruppo ed Ecofin.

giovedì 10 marzo 2011

Il petrolio continuerà a salire

Il prezzo del greggio continua la sua salita vertiginosa, fra i segni d'insofferenza e di rivolta del mondo arabo che non sembra mostrare tregua. Se le voci di un inizio di negoziato dalla Libia del colonnello Gheddafi e l'annuncio di colloqui informali tra i membri dell'Opec sono state in qualche modo rassicuranti per i mercati il giorno 8 marzo, il barile è ancora a livelli sconosciuti dopo la caduta del 2008. Un barile di Brent del Mare del Nord è stato scambiato oggi a 115 dollari a Londra e il barile di light sweet crude a 105,57 dollari a New York. La diretta conseguenza: i prezzi della benzina la scorsa settimana hanno raggiunto il record di 1,567 euro al litro. Nel settembre 2010, un barile si aggirava intorno ai 75 dollari a New York. Due mesi dopo, era salito a $ 85, prima dell'inizio della rivolta in Tunisia. Un motivo strutturale alla base di questi picchi: sono l'interazione tra domanda e offerta. Nel 2010, il consumo mondiale di petrolio è aumentato drasticamente, trainato dalla domanda dei paesi emergenti. Tuttavia, poiché l'offerta non segue, a causa delle quote di produzione la domanda, i prezzi alla fine sono destinati ad aumentare. Il 10 febbraio, l'Agenzia Internazionale dell'Energia ha alzato le sue previsioni per il consumo mondiale per il 2011 a 89,3 milioni di barili al giorno, contro 86,7 milioni nel 2010 e 84,3 milioni nel 2009. Principali paesi consumatori: Cina, secondo consumatore mondiale di greggio, la cui domanda è lievitata del 12% nel 2010, il Brasile, con un incremento del 6%, e anche gli Stati Uniti, che rivedono una domanda dinamica dopo il forte gelo dovuto alla crisi economica. Crisi sociale tunisina, egiziana e libica e il rischio di contagio per il più vasto Medio Oriente hanno rafforzato un mercato già stretto. Perché se c'è una cosa che i mercati detestano è l'incertezza. Le loro paure sono automaticamente riversate sui prezzi. E la speculazione completa il lavoro del panico dei prezzi del petrolio. L'impatto dei disordini in Libia, ne sono la prova cruciale, non è meno importante per il settore petrolifero. La Libia è il quarto paese produttore in Africa dopo la Nigeria, l'Algeria e Angola, e il dodicesimo nel mondo, e produce 1,69 milioni di barili al giorno e ne esporta l'80% in Europa, specialmente Italia, sua ex potenza coloniale, in Spagna e in Irlanda. Ma i conflitti nel paese hanno portato alla sospensione delle operazioni delle compagnie petrolifere straniere, con la conseguente interruzione dei due terzi della produzione del Paese, cioè meno di 550.000 barili al giorno. Fra l’altro, per i paesi importatori perdere tale quota di petrolio libico leggero e a basso contenuto di zolfo facile da raffinare, significa sostituirlo con il greggio di altri paesi. Ciò comporta una grave interruzione della catena di approvvigionamento e forti investimenti in infrastrutture di raffinazione. Nonostante la crisi libica, attualmente non vi è rischio di default di approvvigionamento di petrolio. La Libia rappresenta solo l'1% della produzione mondiale. L'Arabia Saudita si è impegnata a compensare la mancanza di Tripoli, spiega Stephane Deo, a capo della ricerca economica per l'Europa di UBS. Riyadh ha già aumentato la sua produzione di 700.000 barili e continua estraendo 8,3 milioni di barili al giorno, mentre la sua capacità di produzione è superiore a 12 milioni di barili, si può tranquillamente aprire i rubinetti per garantire la stabilità del mercato. Anche Kuwait, Emirati Arabi Uniti e Nigeria hanno intenzione di aumentare la produzione nelle prossime settimane, con un incremento fino a 300.000 barili al giorno, scrive il Financial Times di martedì. Fino a quando la situazione in Libia non sarà risolta, non vi sarà alcun calo del prezzo del petrolio. Nella migliore delle ipotesi, esso si stabilizzerà nel prossimo trimestre. Ma potrà aumentare ulteriormente in caso di rivolta in altri paesi del Medio Oriente. Gli osservatori dicono che tali fibrillazioni potrebbero far giungere il prezzo a 140 - 150 dollari al barile. Lo spettro di un quarto shock petrolifero agitato da alcuni, non c'è nell’immediato futuro, tranne in caso di una conflagrazione dell’ Arabia Saudita, che concentra un terzo delle riserve mondiali di petrolio. Inoltre, non è un caso che il re Abdullah è tornato dalla sua convalescenza, il 23 febbraio, per decomprimere con un ampio pacchetto di misure sociali le ansie rioluzionarie all'interno del paese. Curare le cause del malcontento serve a proteggere i campi petroliferi del Paese. Tuttavia, nel lungo periodo, il prezzo del petrolio a 115 dollari potrebbe essere un mini-shock per i paesi occidentali, indeboliti da una crescita lenta, che corrono un rischio significativo di recessione. Comunque per il futuro a livello macroeconomico, i prezzi del petrolio si faranno sentire sul potere d'acquisto attraverso il costo dei trasporti e di riscaldamento, ma anche per l'inflazione dei prezzi dei beni di consumo, a causa dei costi di produzione più elevati per le aziende. A lungo termine, la volatilità dei prezzi del petrolio, non congiunturale, sarà prolungata per cui sulla scia di quanto è stato fatto dal 1973, bisognerà ridurre la dipendenza dal petrolio, continuando ad investire in fonti energetiche alternative. L'atteggiamento peggiore potrebbe essere quello dell'attesa di giorni migliori per continuare a vivere come prima.

martedì 8 marzo 2011

Prezzi del petrolio e ripresa economica

Negli Stati Uniti, numerosi analisti economici sono convinti che i prezzi del petrolio e delle materie prime non domineranno a lungo gli eventi di borsa e che un eventuale impatto sarà di piccole o medie dimensioni. Tuttavia, c'è anche la convinzione che una ripresa rapida si stia allontanando nel tempo e che anche l'accesso ai capitali a buon mercato ha i giorni contati. Discorso equivalente per la UE. Questa settimana i prezzi dei carburanti non sono stati ancora sentiti come una grave minaccia per il recupero dell'economia o per l'inflazione. Ma la certezza è che per il momento si spendono più soldi per i carburanti e meno su altre cose, e il resto dell'economia soffre dalla riduzione della spesa su altre cose. E poi il tempo passa, la gente inizia a prendere atto che deve economizzare sul carburante. E le reazioni diventano più grandi, con il passare del tempo, perché ci sono più opzioni. Così s'incomincia a pensare ad isolare meglio la casa, o procrastinare l'acquisto di una macchina nuova e diversa, nel senso più economica. Una volta che tali reazioni sono state metabolizzate dal mercato, si ha un notevole effetto frenante quindi una prima risposta negativa sull'economia. Alcuni analisti sperano anche che questa aumento dei prezzi del petrolio avvenga più a causa di uno shock-sorpresa e nervosismo per gli avvenimenti della Libia e di altri paesi mediterranei, che per differenza della domanda che supera l'offerta. C'è una ragionevole possibilità che andrà via, ma non ci sono certezze. Perchè il prezzo potrebbe non limitarsi a fluttuare in risposta alla domanda, ma rispondere anche alle speculazioni e alle scommesse sui prezzi futuri. Non c'è dubbio che, fintanto che le economie emergenti, soprattutto quelli più grandi, continuano a crescere, la domanda di petrolio continuerà a crescere. Così, il tipo di situazione che si è visto prima della crisi, nel 2006 fino al 2008, quando ci fu un picco di aumento dei prezzi delle materie prime, potrebbe tornare, ma con un'economia diversa da quella di prima della crisi. L'economie dei paesi emergenti continuano a crescere, anche se nessuno sa quanto velocemente. C'è una mentalità ciclica che tende a dominare il pensiero macroeconomico, ma il mondo sta cambiando la sua struttura e le caratteristiche. A questo punto si pone la domanda: quale ruolo dovrebbero svolgere la Fed, la BCE il FMI in questo momento, soprattutto considerando il surriscaldamento dei prezzi delle materie prime? In questo momento si vedono due modi completamente opposti di affrontare il mercato. La Fed che immette tanta liquidità e che in questo modo sta cercando di esportare l'inflazione svalutando il dollaro. La BCE, con la sua rigidità nel richiamare le banche centrali dell'Eurozona ai parametri fondativi, di fatto aiuta la rivalutazione dell'euro. Il FMI aiuta l'economie deboli a non vacillare ulteriormente. Una prima risposta ai problemi potrebbe venire dall'attenzione all'efficienza energetica e ai problemi della disoccupazione che sarà un problema persistente per tutto l'Occidente anche dopo il ritorno della crescita economica. Con i redditi delle classi più basse in declino, un mercato del lavoro più globalizzato farà della disparità tra i redditi una questione più pressante. L'altro pilastro potrebbe essere l'istruzione e la relativa spesa, compresa quella per la ricerca scientifica. Questo ultimo problema interessa in modo particolare l'Italia. Notizie di oggi, riportate da numerosi quotidiani, è il calo dell'iscrizioni alle università, soprattuto a quelle pubbliche. A parte il fatto che tutte le Università ricevono contributi pubblici, il settore "privato" nell'immaginario delle famiglie italiane potrebbe essere percepito come più seguito (curato?). Ma potrebbe essere, per il nostro paese, anche la percezione di un arretramento istruttivo perchè non immediatamente spendibile nel mondo del lavoro.

lunedì 7 marzo 2011

Vertice Eurozona sui debiti dei paesi periferici

Quattro giorni prima di un vertice speciale-euro sulla crisi del debito, l'agenzia di rating Moody's ha ridotto il merito creditizio della Grecia, ancora una volta, di tre livelli da Ba1 a B1. Il rating è sceso al di sotto del livello spazzatura. Atene si è dichiarato indignata e ha dichiarato che la retrocessione è incomprensibile e pericolosa. La società Moody's ha giustificato l'abbassamento del rating per le preoccupazioni che la Grecia, nonostante il paracadute euro, deve ristrutturare il proprio debito per ritrovare un equilibirio economico. Inoltre, sempre secondo l'agenzia di rating, questo paese ha notevoli difficoltà di generare reddito. Atene ha anche minacciato di rifiutare il pacchetto di aiuti dell'Unione europea e del Fondo monetario internazionale (FMI) nel 2013 per un importo di 110 miliardi, qualora le condizioni divenissero ancora più severe.
Il Ministro greco delle Finanze ha dichiarato che la retrocessione è stata del tutto ingiustificata perchè non si sta mostrando alcuna valutazione obiettiva ed equilibrata delle circostanze, sui progressi già conseguiti nel risanamento del bilancio ed ignora il percorso di riforme economiche già intraprese. Questa vicenda ha rafforzato la necessità di un monitoraggio più rigoroso sulle agenzie di rating. Anche in Europa ci sono, tuttavia, timori per un possibile fallimento della Grecia. Il Commissario UE per gli affari monetari, Olli Rehn, ha dichiarato al giornale tedesco "Handelsblatt" (edizione di ieri): Un taglio del debito avrebbe conseguenze gravi per i paesi colpiti in tutta l'Europa. I tassi di prestito ad Atene ridotti e la proroga da tre e mezzo a sette anni della durata del prestito sono il mezzo per dare al paese più respiro. Sarà questo uno dei temi caldi che avranno di fronte i partecipanti al vertice straordinario dei 17 paesi dell'euro venerdì a Bruxelles. La riunione è in preparazione del vertice dei capi di governo di fine di marzo, dove contro prestiti meno cari per Atene e per l'Irlanda, in particolare, c'è resistenza da parte dell' Austria.

Nuovi test di solidità per banche: probabile una nuova categoria

Secondo Andrea Enrique, presidente dell'autorità di vigilanza europea delle banche (EBA),i nuovi stress-test per le maggiori banche europee potrebbero introdurre una nuova categoria collaterale, alle quali sarebbero imposti alcuni vincoli. In dichiarazioni rilasciate al Financial Times, ieri lunedì, Enrique ritiene che si debba trovare un modo per colmare le lacune dei test precedenti, criticati per la loro mancanza di severità. Poichè i risultati dei test non sono eguali per tutti, c'è la necessità di avere un tempo per indirizzare le banche verso una procedura di aumento di capitale per raggiungere la soglia richiesta, oppure per superare alcune cause di preoccupazioni o di semplice debolezza.
Secondo il Financial Times, 17 delle 91 banche che sono state oggetto di precedenti test potrebbe rientrare in questa categoria, per lo più si tratta di banche spagnole, tedesche e italiane. Sono solo 7 le banche che hanno fallito il test finale effettuato lo scorso anno. La loro credibilità era stata seriamente compromessa da difficoltà dovute alla caduta di due banche irlandesi, che hanno dovuto chiedere aiuto quando avevano superato l'esame di controllo dell'autorità europea. I test saranno basati su due scenari. L'EBA sta organizzando una nuova edizione di questo esercizio, che gli europei vogliono rendere più credibile rispetto ai due precedenti. Il 18 marzo sarà pubblicato il nome delle banche selezionate per il test e si spera di pubblicare i risultati nel mese di giugno. Come nelle prove precedenti, il controller utilizza due scenari, uno chiamato di base, con le principali previsioni macroeconomiche in vigore oggi, e l'altro con uno scenario avverso, con presupposti teorici di recessione economica e dei mercati finanziari.

sabato 5 marzo 2011

Nord Africa: le conseguenze economico finanziarie a oggi

Il malcontento esploso in Tunisia e motivato inizialmente dall’escalation dei prezzi degli alimentari si è trasformato in proteste e rivolte con la richiesta di maggiore libertà e diritti in paesi governati da decenni da regimi autoritari. Insieme alla rilevanza politica e sociale sta crescendo anche la rilevanza economica e finanziaria delle rivolte in Nord Africa. Nonostante che l’instabilità politica dell’area probabilmente durerà per diversi mesi, l’offerta di prodotti energetici non dovrebbe registrare un calo drammatico e sarebbe in ogni caso parzialmente compensata da un aumento della produzione di altri paesi. Il nodo della crisi passa per l’Arabia Saudita, che mostra una maggiore stabilità, ma soprattutto un atteggiamento accomodante delle Autorità, che hanno deciso un pacchetto di aiuti alla popolazione per 36 miliardi di dollari. Allo stato attuale, con un prezzo del petrolio (WTI) in area 100/110 dollari, le conseguenze per l’economia mondiale dovrebbero essere contenute, con una crescita economica solo leggermente inferiore e un’inflazione moderatamente più alta. Quest’ultima avrebbe la conseguenza di una maggiore attenzione da parte delle Banche centrali. Il primo alert è già arrivato dalla BCE che ha annunciato che prenderà in considerazione nella riunione mensile di aprile un aumento del tasso di riferimento dello 0,25%. Ne deriva che lo scenario sulle principali attività finanziarie non si modifica in modo sostanziale. Importanti sono le valutazioni degli analisti sulle ripercussioni della crisi in Nord Africa sui mercati azionari. Ad esempio, John Velis, Responsabile Capital Market Research per l'area EMEA di Russell Investments valuta che se i disordini in Libia, e in misura minore in Bahrain, si dovessero diffondere in tutta la regione, come accadde nel 1989 durante le rivoluzioni nell'Europa dell'Est, le conseguenze potrebbero essere un'interruzione della fornitura di petrolio e, probabilmente, una forte instabilità geopolitica. Questo avrebbe ovviamente impatti molto negativi sui mercati. La Libia soddisfa circa il 2-3% della domanda mondiale di petrolio. Finora le forniture non sono mai state sospese e l'Arabia Saudita ha rassicurato dichiarandosi disponibile a colmare gli eventuali deficit. Il governo provvisorio dell'Egitto ha mantenuto aperto il canale di Suez e i principali oleodotti e questo dovrebbe far sì che il petrolio arrivi sui mercati mondiali con una interruzione minima. Il rischio maggiore è che si verifichi quanto successo in Iran nel 1979, quando la rivoluzione islamica ha spinto davvero in alto i livelli del prezzo del petrolio. Se questo dovesse ricapitare ( al momento, le probabilità sono basse) le banche centrali dovrebbero alzare i tassi e ci sarebbero, almeno nel breve tempo, timori di inflazione che potrebbero impattare gli asset più rischiosi. Al momento, anche leggeri timori di questo tipo sono stati sufficienti a togliere forza ai mercati azionari. Questo non sorprende, visto i rialzi ininterrotti che ci sono stati per tre quattro settimane consecutive. Gli investitori erano pronti a realizzi di breve periodo, anche per monetizzare i profitti e gli eventi del Nord Africa, in questo momento, stanno dando una buona scusa per alleggerire le posizioni. Se lo scenario peggiore dovesse concretizzarsi, gli asset rischiosi si potrebbero svalutare e i settori difensivi e quelli che non dipendono direttamente dall'energia come i farmacologici e i servizi (trasporti esclusi) potrebbero essere considerati più interessanti. Ovviamente ne beneficerebbero le società petrolifere.

giovedì 3 marzo 2011

Tassi BCE invariati

Oggi, dopo la riunione mensile del Consiglio direttivo, non ci sono state sorprese a Francoforte, perchè la BCE ha mantenuto il tasso di rifinanziamento invariato all'1% nonostante il forte aumento dell'inflazione osservato nella zona euro negli ultimi mesi. Il tasso di rifinanziamento è fermo a questo livello dal 7 Maggio 2009. Il tasso sui depositi resta allo 0,25% e il tasso di rifinanziamento marginale al 1,75%. La decisione era attesa dal mercato, soprattutto perchè gli operatori economici vogliono saperne di più circa la posizione della Banca centrale Europea sull'inflazione e sui tempi della soppressione delle misure di sostegno. Il presidente dell'istituto, Jean-Claude Trichet, terrà nel pomeriggio di oggi a Francoforte presso la sede centrale una conferenza stampa. Secondo gli analisti si dovrebbero rivedere al rialzo le previsioni di crescita per l'Eurozona per il 2011 e il 2012, e ci potrebbero essere modifiche sui prestiti alle banche. In effetti l'inflazione ha ripreso vigore in febbraio nella zona euro toccando il 2,4%, dal 2,3% di gennaio, secondo le stime pubblicate martedì dall' Eurostat, l'ufficio statistiche dell'Unione europea. Così per la seconda volta ha superato la soglia limite del 2% fissata dalle autorità monetarie, spinta dal forte aumento dei prezzi delle materie prime, un barile di greggio supera oggi i 118 dollari al barile, l’aumento del tasso di rifinanziamento può giocare un forte ruolo sulla distribuzione dei crediti e regolamentare le attività economiche. E' l'arma principale dei banchieri centrali per la lotta contro l'inflazione. Per ora, la BCE si limita ad osservare con molta attenzione l'evoluzione dei prezzi delle materie prime. Secondo il Presidente Trichet, l'inflazione rimarrà probabilmente superiore al 2% di qualche frazione di punto, per buona parte del 2011 per poi diminuire verso la fine dell'anno.

martedì 1 marzo 2011

Se aumenta il petrolio, traballa l'economia mondiale

Nel 2010, secondo quanto dichiarato dal Governato della Banca d’Italia, Draghi, ad un convegno del Forex della settimana scorsa, il PIL mondiale è cresciuto di circa il 5%, nel 2009 era diminuito di quasi l'1%. Il ritmo potrebbe assestarsi intorno al 3-3,5% nel 2011. Negli USA la crescita ha accelerato intorno al 3% alla fine del 2010; si è rafforzato l’aumento dei consumi. Identica la crescita prevista per l’anno in corso. Nelle economie emergenti lo sviluppo stimato per quest’anno e per il 2012 è intorno al 7%. Nell’area dell’euro la spinta più forte alla crescita viene dalla economia tedesca, grazie ai forti incrementi delle esportazioni e degli investimenti in macchinari e attrezzature. In Italia i tassi di sviluppo sono attorno all’1,3%. L’espansione produttiva si concentra nelle aziende esportatrici, in particolare in quelle grandi, rivolte alle economie emergenti. La domanda interna rimane debole, specie nei consumi, su cui gravano le incerte prospettive dell’occupazione e un perdurante ristagno dei redditi reali delle famiglie. Al miglioramento del quadro macroeconomico mondiale, al superamento del disordine finanziario creato dalla crisi, si accompagnano tuttavia vecchie e nuove fragilità. Tassi di crescita molto difformi possono facilmente accrescere la volatilità dei cambi e dei tassi di interesse, mettendo a repentaglio la solidità della ripresa. Le interconnessioni fra economie rendono il sistema vulnerabile anche a shock circoscritti. L’esito incerto della sollevazione che scuote la Libia preoccupa la comunità internazionale. L’impatto immediato di eventuali difficoltà di approvvigionamento di fonti energetiche dall’Africa settentrionale può essere contenuto dall’ampia capacità inutilizzata negli altri paesi produttori, ma le drammatiche vicende di questi giorni possono indebolire gli investimenti nell’industria petrolifera in quell’area, far rincarare l’energia, con ripercussioni sulla crescita mondiale. Un aumento del 20% del prezzo del petrolio determina, una minor crescita del prodotto di mezzo punto percentuale nell’arco di tre anni. Nell’ultimo triennio la crisi ha ampliato il disavanzo pubblico nell’insieme dei paesi avanzati di oltre 6 punti percentuali di PIL e il debito pubblico di quasi 25, fino a sfiorare il 100% del prodotto. Negli Stati Uniti e in Giappone un piano di consolidamento delle finanze pubbliche è difficilmente procrastinabile: l’OCSE valuta che solo per stabilizzare il rapporto debito/PIL di quei paesi entro i prossimi quindici anni sarebbe necessaria una correzione del saldo primario dell’ordine di 8-9 punti. In Europa già ci si confronta su due piani diversi che saranno discussi dai leaders a Bruxelles l’11 marzo prossimo, ed entrambi prevedono nuovi sacrifici per ridurre i disavanzi, contenere la crescita la spesa statale, raffreddare la dinamica salariale e attenuare gli effetti dell’inflazione giunta a fine febraio al 2,4%. Carburante di questa inflazione gli aumenti del petrolio con tutti i suoi riflessi sui trasporti, distribuzione, riscaldamenti e così via. A questo si aggiunge la galoppata che si è avuta negli ultimi 3 mesi sui prodotti alimentari, che hanno reso insopportabile le condizioni di vita per tanta gente dei paesi del terzo e quarto mondo, fascia sud del Mediterraneo, in primis. In alcuni paesi emergenti (BRIC soprattutto) le buone prospettive di crescita, i rendimenti elevati, attraggono ingenti capitali privati dall’estero; nel 2010 ve ne sono stati per circa 900 miliardi di dollari, equivalenti a quasi il 5% del prodotto di quei paesi. Gli afflussi, in presenza di una già forte espansione della domanda e di sistemi finanziari ancora non ben sviluppati, ingenerano inflazione e bolle finanziarie. La vivace dinamica dei prezzi che già si osserva in quelle economie, intorno al 6% in media e ben oltre il 4,5% in Cina, è in parte riconducibile al rincaro dei prodotti alimentari ed energetici, ma gioca anche l’accelerazione della domanda interna, essa stessa alla base dei rialzi nelle quotazioni internazionali delle materie di base. Questi aumenti, che penalizzano in particolare i paesi più poveri, potrebbero essere contrastati da apprezzamenti del tasso di cambio, peraltro necessari a ridurre gli squilibri globali nelle bilance dei pagamenti. Prossimo appuntamento di grande importanza sarà giovedì prossimo con la riunione del Consiglio direttivo della BCE per sapere se lascerà invariato il tasso primario di sconto.