Il malcontento esploso in Tunisia e motivato inizialmente dall’escalation dei prezzi degli alimentari si è trasformato in proteste e rivolte con la richiesta di maggiore libertà e diritti in paesi governati da decenni da regimi autoritari. Insieme alla rilevanza politica e sociale sta crescendo anche la rilevanza economica e finanziaria delle rivolte in Nord Africa. Nonostante che l’instabilità politica dell’area probabilmente durerà per diversi mesi, l’offerta di prodotti energetici non dovrebbe registrare un calo drammatico e sarebbe in ogni caso parzialmente compensata da un aumento della produzione di altri paesi. Il nodo della crisi passa per l’Arabia Saudita, che mostra una maggiore stabilità, ma soprattutto un atteggiamento accomodante delle Autorità, che hanno deciso un pacchetto di aiuti alla popolazione per 36 miliardi di dollari. Allo stato attuale, con un prezzo del petrolio (WTI) in area 100/110 dollari, le conseguenze per l’economia mondiale dovrebbero essere contenute, con una crescita economica solo leggermente inferiore e un’inflazione moderatamente più alta. Quest’ultima avrebbe la conseguenza di una maggiore attenzione da parte delle Banche centrali. Il primo alert è già arrivato dalla BCE che ha annunciato che prenderà in considerazione nella riunione mensile di aprile un aumento del tasso di riferimento dello 0,25%. Ne deriva che lo scenario sulle principali attività finanziarie non si modifica in modo sostanziale. Importanti sono le valutazioni degli analisti sulle ripercussioni della crisi in Nord Africa sui mercati azionari. Ad esempio, John Velis, Responsabile Capital Market Research per l'area EMEA di Russell Investments valuta che se i disordini in Libia, e in misura minore in Bahrain, si dovessero diffondere in tutta la regione, come accadde nel 1989 durante le rivoluzioni nell'Europa dell'Est, le conseguenze potrebbero essere un'interruzione della fornitura di petrolio e, probabilmente, una forte instabilità geopolitica. Questo avrebbe ovviamente impatti molto negativi sui mercati. La Libia soddisfa circa il 2-3% della domanda mondiale di petrolio. Finora le forniture non sono mai state sospese e l'Arabia Saudita ha rassicurato dichiarandosi disponibile a colmare gli eventuali deficit. Il governo provvisorio dell'Egitto ha mantenuto aperto il canale di Suez e i principali oleodotti e questo dovrebbe far sì che il petrolio arrivi sui mercati mondiali con una interruzione minima. Il rischio maggiore è che si verifichi quanto successo in Iran nel 1979, quando la rivoluzione islamica ha spinto davvero in alto i livelli del prezzo del petrolio. Se questo dovesse ricapitare ( al momento, le probabilità sono basse) le banche centrali dovrebbero alzare i tassi e ci sarebbero, almeno nel breve tempo, timori di inflazione che potrebbero impattare gli asset più rischiosi. Al momento, anche leggeri timori di questo tipo sono stati sufficienti a togliere forza ai mercati azionari. Questo non sorprende, visto i rialzi ininterrotti che ci sono stati per tre quattro settimane consecutive. Gli investitori erano pronti a realizzi di breve periodo, anche per monetizzare i profitti e gli eventi del Nord Africa, in questo momento, stanno dando una buona scusa per alleggerire le posizioni. Se lo scenario peggiore dovesse concretizzarsi, gli asset rischiosi si potrebbero svalutare e i settori difensivi e quelli che non dipendono direttamente dall'energia come i farmacologici e i servizi (trasporti esclusi) potrebbero essere considerati più interessanti. Ovviamente ne beneficerebbero le società petrolifere.
sabato 5 marzo 2011
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