domenica 1 novembre 2009

Capitali cinesi per le PMI italiane?


Nel mondo imprenditoriale milanese si parla spesso della capacità di espansione della comunità cinese di Milano con acquisizioni continue nel commercio, nella ristorazione e nei servizi in genere di questa realtà forte di oltre diecimila presenze. Stesso discorso vale anche per Prato e le altre China-town sparse per l’Italia. Spesso i loro rappresentanti d’affari girano con valigette piene di euro e concludono, quando possono velocemente, senza battere ciglio sulle richieste dei venditori pur di conquistare nuovi spazi e allargare il loro giro d’affari. Il vero salto di qualità che si sta prospettando in questi giorni è però l’annuncio dato dal Ministro dell’Economia Tremonti al convegno dei giovani imprenditori a Capri della creazione di un Fondo Private Equity del circa 3 mld di euro per lo sviluppo e la partecizione ad aumenti di capitali delle nostre PMI sostenuto dalle grandi banche d’interesse nazionale e dalla Cassa depositi e prestiti. Questo fondo potrebbe raddoppiare se si aprisse alla partecipazione della China Devolopment Bank (CDV), l’equivalente cinese della nostra CDP sul modello dell’accordo-quadro annunciato il 28 ottobre a Parigi. Questi movimenti fanno seguito a decisioni prese dal Club degli investitori di lungo periodo voluto dalla BEI e dalle casse depositi e prestiti di Francia ,Germania Italia e dai cosiddetti fondi sovrani di Marocco, Abu Dhabi, Cina, Dubai, Russia Canada. E’ evidente che questa scelta dovuto a un certo pragmatismo delle forze economiche in campo rappresentano una svolta epocale dell’approccio che i paesi europei incominciano ad avere con il gigante cinese. Si mettono da parte le critiche sul rispetto dei diritti umani, si minimizza sulla politica economica agressiva denunciata dalle organizzazioni umanitarie perseguita in Africa. L’acquisto di minerali a basso costo e l’esportazione di massicci quantitativi di manufatti come magliette, jeans che raggiungono in alcune realtà percentuali dell’80% che di fatto annulla la potenzialità della debole industria manifatturiera africana. Stesse quantità e percentuali per quanto riguarda l’elettronica di consumo come batterie, radio e telefoni a basso costo e qualità, e stessi risultati di azzeramento dell’industria locale. Anche nel sostegno finanziario ai governi o alle costruzioni di grandi opere pubbliche, che per ovvie ragioni vanno fatte in loco, primeggia la Exim-bank, la terza banca di credito del mondo che spesso ha soppiantato la Banca mondiale che ha per ragione sociale interventi di questo tipo. Si palesa così una bella sfida per il nostro mondo imprenditoriale e politico europeo e italiano. Speriamo che se in Italia saremo capaci di seguire il pragmatismo francese nell’accettare i capitali cinesi, saremo anche attenti a non sovvertire gli standardi di qualità a cui siamo abituati.

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