L’afro-pessimismo non è più di moda e il continente e la sua economia sono pronte a prendere il volo. Sono molti gl' investitori che scoprono che l’Africa è diventata un continente di opportunità, perché promette un rapido sviluppo, così come i paesi asiatici e il Brasile. Le statistiche del Fondo Monetario Internazionale riscontrano un tasso di crescita annuale attorno al 5,1%, nonostante un 2009 mediocre.
Jim O'Neill, capo economista di Goldman Sachs, inventore dell’acronimo “Brics” per designare i paesi emergenti con un’economia in vigorosa crescita (Brasile, Russia, India e Cina) in una intervista al Finacial Times del 28 agosto, non era poi molto lontano dal pensare che nei prossimi 40 anni qualcuno dei grandi paesi africani si potesse aggiungere alla lista. Egli aveva scritto che la Nigeria con i suoi 180 milioni di abitanti fra 30-40 anni avrebbe potuto pesare nel commercio mondiale più di Canada, Italia o Corea del Sud. Oggi il continente africano nel suo insieme è un nuovo Brasile classificato nono nell’economia mondiale.
In uno studio del Mckinsey Global Institute presentato il 14 settembre a Parigi sono enumerate le cause di questo risveglio, in modo particolare le ricchezze del sottosuolo africano. In effetti i governi africani hanno condotto un doloroso risanamento negli anni 1990 per ridurre i loro deficit e privatizzare le imprese pubbliche. Essi sono stati capaci di ridurre il numero e l’intensità dei conflitti armati. La produttività del lavoro, che era sceso dopo il 1980 ha ricominciato a crescere a partire dal 2000 al ritmo del 2,7% l’anno.
La seconda ragione è l’esplosione della domanda di materie prime che ha portato la valuta che mancava in Africa. Gli autori dello studio hanno notato che i paesi senza ricchezze naturali hanno progredito con ritmi più lenti rispetto agli altri. Gl’investitori stranieri non si sono fatti ingannare, i loro apporto annuale di capitali è passato da 7 miliardi di euro del 2000 a 49 miliardi di euro nel 2008, tasso pressoché uguale che in Cina.
Un’altra ragione parallela a questa attiene all’evoluzione sociale e demografica, in particolare all’allargamento del mercato del lavoro, l’urbanizzazione e l’emergere di una classe media. Nel 1980, il 28% degli Africani vivevano in città. Nel 2030 la proporzione passerà al 50%. Questa transizione non è una garanzia di crescita, dichiara M. Tazi-Riffi, ma un vivaio di crescita.
A questi fattori si sommano le ricchezze del sottosuolo africano che rigurgita di ricchezze necessarie a soddisfare i bisogni dei paesi emergenti. Nel 2008 qualcosa come 85 milioni di coppie hanno guadagnato meno di 4000 euro dovendo spendere, per mangiare, la metà delle loro entrate. Non tutti i paesi avranno lo stesso trend di sviluppo, a causa di situazioni politiche, economiche, demografiche differenti. Le più diversificate economie egiziane e marocchine si svilupperanno meglio di quella etiopica e del Malì, nondimeno anche esse conosceranno una crescita rapida, ma politicamente fragile.
Tra i settori che conosceranno uno sviluppo interessante a breve, si possono ascrivere i beni di consumo (al primo posto le telecomunicazioni), le risorse naturali, le infrastrutture (strade, elettricità, acqua), e l’agricoltura che ha un potenziale enorme, poiché McKinsey stima che le cifre d’affari potranno salire dagli attuali 210 miliardi di euro a 650 miliardi nel 2030. Basta ricordare che il 60% delle terre arabili e non coltivate sono africane. Insomma la rivoluzione verde non è ancora scoppiata. I rari investitori europei che sono sbarcati in Africa sono felici. E’ il posto dove si ottiene il miglior ritorno dell’investimento, ha dichiarato Guillaume Chaloin, gestore di un fondo geograficamente specializzato, nato a luglio da Meeschaert Asset Management. Certo ci vuole prudenza ha aggiunto, ma non è il Far West che alcuni credono ci sia. Tra i settori da privilegiare senza dubbio ci sono le telecomunicazione perché vivono una formidabile rivoluzione: il tasso di penetrazione che attualmente si attesta al 37%, dovrà salire, nel giro di 5/7 anni all’80%. E poi c’è la distribuzione che lo sviluppo dell’urbanizzazione a tassi stupefacenti richiede. Ad esempio, in Nigeria, spiega M. Chaloin, nell’agglomerato di Lagos, 40 milioni di abitanti, i supermercati Shoprite, non hanno alcun concorrente e hanno in progetto di aprire una ventina di grandi magazzini. Essi parlano di un margine del 35% all’anno, vale a dire un grandissimo potenziale. I Cinesi e i Brasiliani sono ancora davanti a loro nello sviluppo, ma gli Europei sono stati sorpassati.
Jim O'Neill, capo economista di Goldman Sachs, inventore dell’acronimo “Brics” per designare i paesi emergenti con un’economia in vigorosa crescita (Brasile, Russia, India e Cina) in una intervista al Finacial Times del 28 agosto, non era poi molto lontano dal pensare che nei prossimi 40 anni qualcuno dei grandi paesi africani si potesse aggiungere alla lista. Egli aveva scritto che la Nigeria con i suoi 180 milioni di abitanti fra 30-40 anni avrebbe potuto pesare nel commercio mondiale più di Canada, Italia o Corea del Sud. Oggi il continente africano nel suo insieme è un nuovo Brasile classificato nono nell’economia mondiale.
In uno studio del Mckinsey Global Institute presentato il 14 settembre a Parigi sono enumerate le cause di questo risveglio, in modo particolare le ricchezze del sottosuolo africano. In effetti i governi africani hanno condotto un doloroso risanamento negli anni 1990 per ridurre i loro deficit e privatizzare le imprese pubbliche. Essi sono stati capaci di ridurre il numero e l’intensità dei conflitti armati. La produttività del lavoro, che era sceso dopo il 1980 ha ricominciato a crescere a partire dal 2000 al ritmo del 2,7% l’anno.
La seconda ragione è l’esplosione della domanda di materie prime che ha portato la valuta che mancava in Africa. Gli autori dello studio hanno notato che i paesi senza ricchezze naturali hanno progredito con ritmi più lenti rispetto agli altri. Gl’investitori stranieri non si sono fatti ingannare, i loro apporto annuale di capitali è passato da 7 miliardi di euro del 2000 a 49 miliardi di euro nel 2008, tasso pressoché uguale che in Cina.
Un’altra ragione parallela a questa attiene all’evoluzione sociale e demografica, in particolare all’allargamento del mercato del lavoro, l’urbanizzazione e l’emergere di una classe media. Nel 1980, il 28% degli Africani vivevano in città. Nel 2030 la proporzione passerà al 50%. Questa transizione non è una garanzia di crescita, dichiara M. Tazi-Riffi, ma un vivaio di crescita.
A questi fattori si sommano le ricchezze del sottosuolo africano che rigurgita di ricchezze necessarie a soddisfare i bisogni dei paesi emergenti. Nel 2008 qualcosa come 85 milioni di coppie hanno guadagnato meno di 4000 euro dovendo spendere, per mangiare, la metà delle loro entrate. Non tutti i paesi avranno lo stesso trend di sviluppo, a causa di situazioni politiche, economiche, demografiche differenti. Le più diversificate economie egiziane e marocchine si svilupperanno meglio di quella etiopica e del Malì, nondimeno anche esse conosceranno una crescita rapida, ma politicamente fragile.
Tra i settori che conosceranno uno sviluppo interessante a breve, si possono ascrivere i beni di consumo (al primo posto le telecomunicazioni), le risorse naturali, le infrastrutture (strade, elettricità, acqua), e l’agricoltura che ha un potenziale enorme, poiché McKinsey stima che le cifre d’affari potranno salire dagli attuali 210 miliardi di euro a 650 miliardi nel 2030. Basta ricordare che il 60% delle terre arabili e non coltivate sono africane. Insomma la rivoluzione verde non è ancora scoppiata. I rari investitori europei che sono sbarcati in Africa sono felici. E’ il posto dove si ottiene il miglior ritorno dell’investimento, ha dichiarato Guillaume Chaloin, gestore di un fondo geograficamente specializzato, nato a luglio da Meeschaert Asset Management. Certo ci vuole prudenza ha aggiunto, ma non è il Far West che alcuni credono ci sia. Tra i settori da privilegiare senza dubbio ci sono le telecomunicazione perché vivono una formidabile rivoluzione: il tasso di penetrazione che attualmente si attesta al 37%, dovrà salire, nel giro di 5/7 anni all’80%. E poi c’è la distribuzione che lo sviluppo dell’urbanizzazione a tassi stupefacenti richiede. Ad esempio, in Nigeria, spiega M. Chaloin, nell’agglomerato di Lagos, 40 milioni di abitanti, i supermercati Shoprite, non hanno alcun concorrente e hanno in progetto di aprire una ventina di grandi magazzini. Essi parlano di un margine del 35% all’anno, vale a dire un grandissimo potenziale. I Cinesi e i Brasiliani sono ancora davanti a loro nello sviluppo, ma gli Europei sono stati sorpassati.
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