lunedì 29 marzo 2010

Immigrazione come risorsa

L’Italia è uno dei 27 paesi dell’Unione Europea che incomincia a fare i conti con una presenza massiccia di extracomunitari e che si deve apprestare al più presto ad un confronto con questa realtà. Questa problematica che è rimasta latente sino a questo momento, rispetto ad altri paesi europei, da la sensazione di aver sottovalutato che oltre le braccia, qualche volta sfruttate a poco prezzo, sono arrivate anche delle persone. Oggi s’incomincia ad accettare l’idea che l'Italia ha bisogno di una fondamentale e lungimirante strategia d’integrazione degli immigrati e che c’è bisogno di avere una consolidata legislazione in materia prima che scoppino altre situazioni come già si sono viste a Rosarno in Calabria o a via Padova a Milano. Non siamo ancora a livello di Schaerbeek, nella regione di Bruxelles, dove vivono 110.000 persone, di cui un abitante su tre si professa musulmano ed è immigrato dalla Turchia o dal Maghreb, dove quasi tutti i fine-settimana la polizia deve intervenire con idranti per calmare le discussione tra i locali ed immigrati. C’è Rosengard, vicino a Malmoe, in Svezia di 22.000 abitanti con una popolazione d’immigrati al 12% sulla popolazione locale, che arriva al 60% calcolando l’immigrazione di prima e seconda generazione. La Germania è al 12,3%, la Francia al 10,1%, la Grecia all’8%, l’Irlanda quasi al 15% e l’Olanda al 10%. Ognuna di queste nazioni chiede ai neo-immigrati di fare uno sforzo d’integrazione frequentando, è il caso dell’Olanda, un corso di lingua, ma anche di assistere ad un film dove si vedono scambi in pubblico di baci anche fra omosessuali e si fa vedere loro una spiaggia per nudisti. Il tutto allo scopo di far comprendere che se vogliono rimanere in un paese europeo questo è il sistema e le usanze con cui sono chiamati a convivere e che devono imparare ad accettare. In Francia è recente la codificazione della legge che vieta alle donne d’indossare in pubblico il burka. Ora per l’Italia questa forza lavoro rappresenta in media circa il 9% della popolazione, con punte più alte in alcune zone industrializzate del Nord. Producono, secondo alcuni studi sindacali, una percentuale quasi identica di PIL nazionale ed inviano rimesse ai loro paesi d’origine di circa 6 miliardi di Euro l’anno. In alcuni settori di lavoro sono diventati indispensabili, basti pensare al lavoro di assistenza domiciliare come colf e badanti. Come società italiana bisogna trova una soluzione per accogliere questi immigrati evitando le cosiddette "isole etniche" per non far si che una determinata zona di città (o del territorio) diventi, anche in breve tempo, un ambiente separato che dà il senso di estraneità a chi ci vive. Per far tutto questo occorre muoversi per tempo e attrezzarsi mediante un sapiente monitoraggio urbano che consenta tempi più rapidi d’iniziative di ricomposizione, così da mantenere ragionevolmente miscelate le provenienze e sufficientemente coesa la cittadinanza"

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