Nonostante l’impegno, gl’investimenti, le nuove scoperte di giacimenti e l’aumento delle loro dimensioni e riserve, non passa giorno che qualche centesimo in più non venga richiesto agli automobilisti quando si avvicinano alla pompa della benzina per il rifornimento di carburante. Oggi, le nuove tecnologie permettono la valorizzazione di giacimenti anche di sabbie bituminose, impensabile fino a qualche anno fa, o di andare a cercare il petrolio a profondità maggiori, magari lontano da postazioni con supporto da terra. A volte le navi specializzate per questo lavoro hanno costi d’esercizio che possono raggiungere gli 800.000 € giornalieri quando lavorano a pieno regime, 24 ore al giorno, ma questi costi non giustificano l’attuale prezzo del carburante di 82 dollari al barile, (60 €) che alla pompa ha raggiunto e superato € 1,42 per la benzina verde e 1,34 € per il gasolio, grazie anche al carico fiscale gravante. Alcune novità incominciano a percepirsi dal mercato che potrebbero avere effetti di contenimento dei picchi dei prezzi futuri. Negli Stati Uniti il Governo ha deciso che entro la fine dell’anno almeno l’8% del carburante consumato nel territorio debba provenire dalla lavorazione delle biomasse. In Brasile già oggi il 10% del consumo totale nazionale è fornito dall’etanolo. Programmi identici stanno per venire alla luce in Europa, anche se già oggi le grande utility municipali usano miscele di gasolio con prodotti di provenienza vegetale. Altri risparmi provengono dall’entrate in funzione, quasi mensile di centrali di energia da fonte rinnovabili, come eoliche, fotovoltaiche e geotermiche. Interessanti anche le quantità di centrali a gas, turbogas e a metano, dal bassissimo impatto ambientale che continuamente vengono inaugurate. Nel giro di questo decennio dovremmmo vedere l’entrata in funzione di nuove centrali nucleari di quarta generazione, forse anche in Italia. Le difficoltà vere di una diminuzione del prezzo del carburante per gli automobilisti sembra piuttosto venire fondamentalmente da due cause. La prima è l’aumento molto robusto dei consumi dei paesi emergenti: Brasile, Russia, Cina, Venezuela, India e Indonesia, per cui c’è un bilanciamento tra i risparmi dei paesi industrializzati e i nuovi consumi. La seconda causa proviene dalla scelta fatta da parte della finanza anche d’assalto, i cosiddetti hedge fund, di sostenere, non solo la speculazione, ma anche i titoli di quelle società che investono nella ricerca e nello sfruttamento di nuove aree, quasi fosse un nuovo bene rifugio. Da questo punto di vista è interessante le aspettative che ci sono in Italia dove l’ENI in collaborazione con altre multinazionali di settore attendono tutte le autorizzazioni necessarie per incrementare la produzione di petrolio in Basilicata, nello Jonio e nello stretto di Sicilia.
venerdì 19 marzo 2010
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