La questione climatica è ormai un problema molto sentito dall’opinione pubblica e le preoccupazioni salgono per l’incremento dei gas serra nell’atmosfera, prodotti da emissioni di CO2. L’International Energy Agency, già nel World Energy Outlook del 2007, citato anche da Confindustria nel documento di proposte per il Piano Straordinario di Efficienza Energetica 2010, aveva preannunciato che, senza un rapido e significativo intervento, la presenza di gas serra potrebbe raddoppiare entro fine secolo, portando, come conseguenza, l’innalzamento della temperatura terrestre di 6°. L’indagine prefigurava un tasso di crescita media annua, dal 2007 al 2030, dell’1,5%, passando da 28 miliardi di tonnellate del 2006 a ben 41 miliardi di tonnellate nel 2030, con un incremento complessivo del 45%. La questione, poi, suscita particolari preoccupazioni perché tre quarti di tale aumento, viene prodotto in Cina (+6 mld t), India (+2 mld t) e nei paesi del medio oriente (+1 mld t), quasi una cartina di tornasole dei cambiamenti economici nel mondo. La repubblica popolare cinese che detiene il valore più allarmante, infatti, si presenta come un’area geopolitica che attraversa un periodo di transizione economica e culturale in cui non è ancora maturata un’attenzione ai valori legati alla tutela dell’ambiente, con la conseguenza che il processo di industrializzazione in corso, estremamente rapido, non trova un limite effettivo nell’opinione pubblica e talvolta neanche nelle politiche centrali.
L’impegno europeo in materia di ecologia si è avviato nel 1997 con la sottoscrizione del protocollo di Kyoto e il conseguente impegno a ridurre, nel periodo 2008 – 2012, l’emissioni di CO2 dell’8% rispetto al livello del 1990. L’evoluzione di tale impegno è rappresentata dal “pacchetto clima-energia” degli obiettivi 20 – 20 – 20, attraverso i quali l’Unione si vincola a ridurre, entro l’ormai vicino 2020, le emissioni di gas serra del 20% rispetto ai valori del 1990 (-14% rispetto al 2005) ed a promuovere un incremento delle energie rinnovabili anch’esso del 20% sul consumo finale lordo di energia. A ciò si aggiunge quanto stabilito dal Consiglio d’Europa dell’ 8-9 marzo 2007, che ha assunto un impegno non vincolante di riduzione dei consumi finali di energia del 20% al 2020. Tra i vari livelli di difficoltà che tali obiettivi comportano c’è da considerare lo stato dell’economia globale. Il fattore economico, infatti, svolge un ruolo cardine nella possibilità o meno di attuare le politiche di efficientamento energetico. Produrre energia pulita (o meno sporca) significa ricorrere alle fonti rinnovabili, fonti più costose delle tradizionali.
La nuova Direttiva 28/2009/CE ha assegnato all’Italia un obiettivo del 17% di energia prodotta da fonti rinnovabili nei consumi energetici finali, da raggiungere nel settore elettrico, termico e dei trasporti. A fronte di ciò il Governo Italiano, nel piano di azione sulle fonti rinnovabili del giugno 2010, ha stimato l’obiettivo di produzione delle fonti rinnovabili nei tre settori coinvolti in circa 22 Mtep. Per il solo settore elettrico il raggiungimento del potenziale di sviluppo delle fonti rinnovabili (9,11 Mtep), se permanesse l’attuale livello di incentivazione, comporterebbe un costo al 2020 di circa 9,6 miliardi di euro all’anno, circa il triplo rispetto al costo di incentivazione nel 2006, con un incremento del costo medio dell’energia elettrica consumata di circa 25 euro/MWh. Sostenere costi così forti in una congiuntura internazionale ancora incerta e difficoltosa porta l’attenzione al tema dell’efficienza energetica. Appare del tutto evidente, infatti, che gli obiettivi europei potranno essere realmente raggiunti solo attraverso una giusta combinazione tra il ricorso a fonti energetiche alternative e una riduzione dei consumi in grado di contenere l’aumento dei costi. L’obiettivo al 2016 è suddiviso tra il settore residenziale (4,9 Mtep), industriale 1,8 (Mtep), terziario (2,1 Mtep) e dei trasporti (2,0 Mtep).
Sul fronte immobiliare bisogna considerare che i settori Terziario e Residenziale impattano per circa 1/3 sui consumi energetici nazionali, al pari d’Industria e Trasporti, settori che nelle ultime due decadi hanno continuato a incrementare la relativa richiesta energetica; solamente dal 2005 (tranne che per l’Industriale) si è notata un’inversione di tendenza, probabilmente derivante da una maggiore sensibilità ai temi energetici e dalle incentivazioni proposte per l’effettuazione d’interventi atti a rendere più efficiente il settore energetico. La messa in efficienza del patrimonio edificato, sia esso pubblico che privato, passa in generale per tre nodi fondamentali: la possibilità di ridurre il ricorso a combustibile fossile, la capacità di migliorare il rendimento degli impianti che consumano energia e una razionalizzazione dell’uso che l’utente finale fa dell’energia stessa. Sul fronte residenziale la principale variabile su cui lavorare è costituita dalla quantità di energia necessaria al riscaldamento invernale (e su questo fronte le nuove abitazioni già devono rispettare i valori limite di contenimento energetico riportati nel D. Lgs 192/05) e al raffreddamento estivo. Tutte le misure, ovviamente, presentano dei costi, ma va ricordato che mostrerebbero come contropartita interessanti attivazioni sull’economia sia del settore delle costruzioni sia sul settore dei beni ad alta efficienza, con ritorni importanti in termini erariali.
L’impegno europeo in materia di ecologia si è avviato nel 1997 con la sottoscrizione del protocollo di Kyoto e il conseguente impegno a ridurre, nel periodo 2008 – 2012, l’emissioni di CO2 dell’8% rispetto al livello del 1990. L’evoluzione di tale impegno è rappresentata dal “pacchetto clima-energia” degli obiettivi 20 – 20 – 20, attraverso i quali l’Unione si vincola a ridurre, entro l’ormai vicino 2020, le emissioni di gas serra del 20% rispetto ai valori del 1990 (-14% rispetto al 2005) ed a promuovere un incremento delle energie rinnovabili anch’esso del 20% sul consumo finale lordo di energia. A ciò si aggiunge quanto stabilito dal Consiglio d’Europa dell’ 8-9 marzo 2007, che ha assunto un impegno non vincolante di riduzione dei consumi finali di energia del 20% al 2020. Tra i vari livelli di difficoltà che tali obiettivi comportano c’è da considerare lo stato dell’economia globale. Il fattore economico, infatti, svolge un ruolo cardine nella possibilità o meno di attuare le politiche di efficientamento energetico. Produrre energia pulita (o meno sporca) significa ricorrere alle fonti rinnovabili, fonti più costose delle tradizionali.
La nuova Direttiva 28/2009/CE ha assegnato all’Italia un obiettivo del 17% di energia prodotta da fonti rinnovabili nei consumi energetici finali, da raggiungere nel settore elettrico, termico e dei trasporti. A fronte di ciò il Governo Italiano, nel piano di azione sulle fonti rinnovabili del giugno 2010, ha stimato l’obiettivo di produzione delle fonti rinnovabili nei tre settori coinvolti in circa 22 Mtep. Per il solo settore elettrico il raggiungimento del potenziale di sviluppo delle fonti rinnovabili (9,11 Mtep), se permanesse l’attuale livello di incentivazione, comporterebbe un costo al 2020 di circa 9,6 miliardi di euro all’anno, circa il triplo rispetto al costo di incentivazione nel 2006, con un incremento del costo medio dell’energia elettrica consumata di circa 25 euro/MWh. Sostenere costi così forti in una congiuntura internazionale ancora incerta e difficoltosa porta l’attenzione al tema dell’efficienza energetica. Appare del tutto evidente, infatti, che gli obiettivi europei potranno essere realmente raggiunti solo attraverso una giusta combinazione tra il ricorso a fonti energetiche alternative e una riduzione dei consumi in grado di contenere l’aumento dei costi. L’obiettivo al 2016 è suddiviso tra il settore residenziale (4,9 Mtep), industriale 1,8 (Mtep), terziario (2,1 Mtep) e dei trasporti (2,0 Mtep).
Sul fronte immobiliare bisogna considerare che i settori Terziario e Residenziale impattano per circa 1/3 sui consumi energetici nazionali, al pari d’Industria e Trasporti, settori che nelle ultime due decadi hanno continuato a incrementare la relativa richiesta energetica; solamente dal 2005 (tranne che per l’Industriale) si è notata un’inversione di tendenza, probabilmente derivante da una maggiore sensibilità ai temi energetici e dalle incentivazioni proposte per l’effettuazione d’interventi atti a rendere più efficiente il settore energetico. La messa in efficienza del patrimonio edificato, sia esso pubblico che privato, passa in generale per tre nodi fondamentali: la possibilità di ridurre il ricorso a combustibile fossile, la capacità di migliorare il rendimento degli impianti che consumano energia e una razionalizzazione dell’uso che l’utente finale fa dell’energia stessa. Sul fronte residenziale la principale variabile su cui lavorare è costituita dalla quantità di energia necessaria al riscaldamento invernale (e su questo fronte le nuove abitazioni già devono rispettare i valori limite di contenimento energetico riportati nel D. Lgs 192/05) e al raffreddamento estivo. Tutte le misure, ovviamente, presentano dei costi, ma va ricordato che mostrerebbero come contropartita interessanti attivazioni sull’economia sia del settore delle costruzioni sia sul settore dei beni ad alta efficienza, con ritorni importanti in termini erariali.
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