I politici dell'UE cercano con forza di salvare l'euro, ed incominciano ad emergere i piani per dare una stretta all'Unione, ampliando i poteri regolamentari di Bruxelles. Mentre il cielo di Eurolandia si oscura, almeno a Bruxelles sembra stia migliorando. Ad una recente riunione per discutere della crisi che minaccia l'euro, un ex membro del Parlamento Europeo ha osservato acidamente: «Bisognava dare quest'anno il Premio Carlo Magno, per i servizi all' unità europea, ai mercati obbligazionari che hanno fatto di più per la causa". L'umorismo nero era un modo di affermare una limpida verità: nella capitale de facto della Unione Europea, il corso per evitare la morte della moneta unica europea sta assorbendo le menti degli esperti con un impegno senza precedenti. Mentre i governi in tutto il sud Europa fibrillano sotto la pressione di dover ripagare i propri debiti a tassi d' interesse sempre più alti, anche per quelle economie che in passato erano ritenute "rispettabili" come la Francia e l'Olanda e che oggi risentono il vento gelido del controllo del mercato, i custodi del futuro dell'Europa hanno tardivamente fatto sentire la loro voce. La settimana scorsa il solito austero e pragmatico cancelliere tedesco, Angela Merkel, ha annunciato che l'UE deve affrontare ora forse il periodo più difficile dopo la seconda guerra mondiale. Se l'euro fallisce, fallisce l'Europa, vogliamo evitarlo e sta a noi impedirlo. Per questo stiamo lavorando, perché è un grande progetto storico". Poiché la posta in gioco è salire sempre più in alto, gli inglesi sono sempre più visti come un fastidio e persino come irrilevanti. Venerdì scorso David Cameron si è precipitato nel Vecchio Continente, per incontrarsi con i tre giocatori chiave di questo psicodramma monetario: Angela Merkel, leader del solo paese che con il suo peso economico può mettere ordine nel caos che c'è fuori della Germania, José Manuel Barroso, il presidente portoghese della Commissione europea che ha il compito di dare a Bruxelles un piano per la salvezza, e Herman Van Rompuy, il presidente, fino a questo momento invisibile, del consiglio europeo dei ministri, l'organismo intergovernativo che dovrebbe adottare tale piano. Cameron sperava di ottenere la promessa che Londra non sarebbe stata bersaglio di una futura tassa sulle transazioni finanziarie e l'impegno che i paesi come la Gran Bretagna, che sono al di fuori della zona euro, avrebbero mantenuto la loro influenza nei tempi turbolenti che ci aspettano. Il primo ministro ha scoperto che, come il sogno europeo d'integrazione attraverso l'unione monetaria vacilla sull'orlo della catastrofe, le preoccupazioni britanniche non sono in cima all'agenda di nessuno. La decisione del Regno Unito di non partecipare direttamente ai fondi di salvataggio per la Grecia e il Portogallo non è stata ben digerita, le esortazioni successive da Downing Street per mettere ordine nel il caos dell'euro, sono stati accolte con esasperazione. Quindi, il Regno Unito non sarà niente di più che uno spettatore di come la zona euro affronterà, nel contesto di crisi, una nuova era. Dopo un tumultuoso tardo autunno, Bruxelles, Parigi e Berlino sono d'accordo che le riforme radicali sono inevitabili. Novembre 2011 sarà ricordato come il mese in cui l'Italia è quasi andata sotto la soglia di sicurezza nei mercati obbligazionari che miravano proprio al debito sovrano, quando il governo greco è arrivato pericolosamente vicino ad uscire completamente dall'euro, e quando la Francia, per cinque decenni all'avanguardia dell'integrazione europea, ha visto la propria credibilità economica essere messa in discussione. La controffensiva è un rischioso percorso di marcia verso una forma di unione economica e politica, ma è probabile che sia la profondità che la vastità del cambiamento sia per la sinistra che per la destra politica, saranno profondamente problematiche. I Funzionari di Bruxelles eserciteranno poteri senza precedenti d'intervento rispetto ai bilanci nazionali, sulle politiche fiscali e sul mercato del lavoro. L'esame potrà estendersi anche alle scuole di un paese, alle università e ai tribunali. Il dissenso espresso attraverso un referendum, elezioni o discussioni nei parlamenti nazionali, avranno solo un impatto limitato. La direzione di marcia non è negoziabile. Per "Europa" - l'idea, piuttosto che l'entità geografica - è ora o mai più. Le parole d'ordine nei corridoi del palazzo Berlaymont della Commissione a Bruxelles sono "disciplina, sorveglianza ed esecuzione". I paesi che non riescono a seguire l'austerità descritta da Berlino e Bruxelles rischiano di essere sottoposti a dure sanzioni - forse multe dello 0,2% allo 0,5% del PIL, e il ritiro di trasferimenti di ricchezza dalle regioni più ricche dell'Unione europea a quelli più povere. Le multe saranno integrate da invadenti "supervisioni". La settimana scorsa Barroso ha detto al parlamento europeo di Strasburgo che quei paesi che non lotteranno per abbassare i livelli eccessivi di debito saranno inoltre oggetto d'intervento da Bruxelles in "settori precedentemente riservati ai governi nazionali o ai parlamenti". Così, dopo tutte le mezze misure, soluzioni parziali e mesi di "calci al barattolo lungo la strada", l'itinerario eurobond, e tutto ciò che ne deriva, sarà l'unico modo stringente per salvare l'euro. Secondo Verhofstadt, "O facciamo questo o è la fine della moneta unica".
martedì 22 novembre 2011
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