Fermamente sostenuto dal Capo dello Stato, il premier Mario Monti si è impegnato in prima persona questa settimana a strappare l'accordo ai sindacati sulla gestione di una riforma globale del diritto del lavoro. Una vera e propria maratona iniziata martedì pomeriggio a Palazzo Chigi per convincere le parti sociali ad accettare una proposta che rilanci la crescita e il ritorno degli investimenti esteri. I leader di Confindustria e le Confederazioni di tutti i lavoratori si sono incontrati con il Presidente del Consiglio e con dei ministri, tra cui il Ministro del lavoro, Elsa Fornero, che ha preparato la riforma. Inoltre, ha intensificato i contatti informali per cercare di ridurre l'opposizione della principale confederazione dei lavoratori, CGIL, che si è opposta ad ogni modifica dell'art. 18 del Codice del lavoro, che impedisce i licenziamenti "senza giusta causa ". In maniera abbastanza inusuale, il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha gettato la sua piena autorità nella bilancia chiamando le parti sociali a "capire che è giunto il momento di sostenere l'interesse pubblico." Il Capo dello Stato ha sostenuto gli sforzi del governo: "è grave che non c'è accordo. Si deve negoziare". Nel frattempo, Mario Monti ha invitato i sindacati a "rinunciare a qualcosa. " Alcuni commentatori economici hanno ricordato che l'Italia è ancora nel mirino dei mercati ricordando gl'impegni presi a livello UE di tornare al pareggio di bilancio nel 2013. Le misure adottate finora sono state accolte favorevolmente dai mercati, evidenziati dalla riduzione del differenziale di 166 punti base tra le obbligazioni del Tesoro italiano e bund tedeschi: "Il più grande declino nell'area dell'euro", ha commentato la Banca centrale europea (BCE). I sindacati moderati ed i partiti politici avevano accolto la settimana scorsa positivamente la proposta di una riforma, complessa e articolata, fino a quando l'influenza della CGIL non ha frenato il percorso. La riforma proprosta da Monti mira a modernizzare un codice italiano del lavoro risalente al 1970, accusato di frenare e non far ripartire la crescita. Nel merito, affronta due problemi principali in Italia: da un lato, i quasi impossibili licenziamenti nelle grandi aziende, dall'altro una crescente precarietà del lavoro, senza reti degne di questo nome. Per rompere questa dualità del mercato del lavoro - che si ritrova anche in Spagna - Monti vuole facilitare i licenziamenti, offrendo la protezione sociale per molti lavoratori che ne sono privi, facilitando nel contempo l'occupazione giovanile.
Alcuni punti salienti della riforma
Approvata ieri dal Consiglio dei Ministri con la dicitura "salvo Intese" cioè aperta ad ulteriori contributi la riforma prevede:
- Un'indennità di disoccupazione che diventerà universale nel 2017 e durerà 12 mesi e 18 mesi per gli anziani - e arriverà a 1.119 euro al mese.
- Il congedo di paternità introdotto in alcuni settori.
- Un fondo per sostenere i disoccupati più anziani.
Per Stefano Libman, professore di diritto del lavoro presso l'Università Bocconi di Milano, questa riforma ha il merito di avere una base per la protezione sociale per i milioni di lavoratori che non hanno ora accesso a una copertura sociale generalizzata". Per aiutare l'occupazione giovanile, la riforma prevede la razionalizzazione delle tipologie di contratti, da circa quaranta saranno ridotti ad otto. L'apprendistato diventerà il modello di contratto d'ingresso e durerà tre anni. "Nel breve termine, con la crisi, potrà portare inevitabilmente a qualche licenziamento. Ma alla fine, creerà un lavoro stabile, ha dichiarato Stefano Libman. Qualche resistenza alla riforma c'è sulla destra dello schieramento politico circa il licenziamento, incorniciato dall'articolo 18 del Codice del lavoro, che vieta il licenziamento "senza giusta causa". In effetti, l'articolo 18 blocca una ventina di licenziamenti all'anno, ma nella mente di alcuni settori è divenuto il simbolo della rigidità del mercato del lavoro italiano, per questo il governo insiste sulla sua revisione. Si prevede di introdurre una forma di "rottura convenuta", che permette di separarsi da un dipendente, pagando un risarcimento fino a 27 mesi di stipendio.
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