L’indice dei prezzi al consumo statunitense, che verrà pubblicato venerdì, prevede che a marzo l'inflazione sarà in netto aumento dal precedente 2,1% annuo al 2,6%. Negli ultimi mesi negli USA, come nel resto del mondo, si è assistito ad un’accelerazione dell’inflazione, tanto che solo tra dicembre e gennaio l’indice è cresciuto di mezzo punto percentuale, da 1,6% a 2,1% annuo. Anche se la maggior parte della variazione è da imputarsi al rincaro dei prezzi delle commodity, dai verbali dell’ultima riunione del FOMC sono emerse preoccupazioni relative al vistoso aumento dei prezzi, e il presidente Bernanke ha ribadito l’impegno dell’Autorità di politica monetaria nel tenere sotto stretta osservazione l’evoluzione delle aspettative d'inflazione. I membri del Comitato hanno però mostrato opinioni discordi riguardo a quali siano le modalità d’intervento più opportune nel contesto attuale. Solo negli ultimi giorni, Fischer, membro “falco” e votante, si è espresso in disaccordo rispetto a un possibile ulteriore stimolo monetario e ha suggerito una revisione o chiusura anticipata del quantitative easing 2, dal momento che l’enorme liquidità in circolazione aumenta i rischi inflazionistici. Non si è fatta attendere la risposta di Yellen, vice presidente del Board of Governors della Federal Reserve, che ha sottolineato come le attuali condizioni economiche non siano ancora così robuste da permettere alla Fed di valutare il ritiro anticipato delle misure straordinarie di politica monetaria. Nel frattempo anche il FMI si è mosso per chiedere agli Stati Uniti una più responsabile politica fiscale capace di consentire al più presto un ritorno ad una politica di debito sostenibile, in modo da non mettere a repentaglio, nel medio tempo, il debito obbligazionario del paese.
mercoledì 13 aprile 2011
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