A circa tre mesi dalla chiusura dell’Open Forum, che a fine gennaio si è svolto a Davos per la nona volta, nel mondo poco è cambiato rispetto alla situazione denunciata in quella sede e quel poco che è cambiato lo si è visto in peggio. Organizzato dalla Federazione delle Chiese evangeliche svizzere ha attirato centinaia di persone per una serie di dibattiti critici su diversi argomenti di attualità. La crisi in alcuni paesi dell’Euro, la guerra in Afghanistan, la lotta alla corruzione, il ricorso al doping nello sport e il fenomeno del burnout nel mondo del lavoro sono stati i temi affrontati durante gl’ incontri. L’edizione 2011 dell’Open Forum si è presentato subito in crescendo affrontando la questione della crisi dell’euro che ha attirato l’attenzione del pubblico e dei media. Vedette del dibattito il presidente della BCE Jean Claude Trichet pronto a difendere il il proprio operato, affianco l’analista americano Nouriel Roubini al quale è stato affidato il ruolo di euroscettico. L’economista tedesco Wilhem Hankel ha presentato una sua tesi fortemente contraria all’Euro. L’argomentazione forte è stata che:” Abbiamo una crisi della moneta unica europea perché un terzo dei paesi che hanno introdotto l’Euro sono già falliti o sono vicini alla bancarotta. I veri perdenti sono gli europei che pagano i debiti degli altri Stati. I relatori del Forum vengono scelti dalla Federazione delle chiese evangeliche in accordo con i responsabili del Forum Economico di Davos che si fanno carico di una parte delle spese. Molto seguito anche il dibattito sui risultati raggiunti dal contingente militare occidentale in Afghanistan. Il giornalista tedesco Ulrich Tilgner si è mostrato molto critico nel fare un bilancio. “La vittoria con le armi resta possibile, ma a quale prezzo? Gli attentati di questi giorni, in cui si mescola anche la lotta all’Occidente a favore di una cultura islamica sono la cartina di tornasole di una situazione nel paese molto complessa. D’accordo si è dichiarato il ministro degli esteri della Polonia, che impegna 2600 militari in quel paese. L’olandese Martine van Bijlert, condirettrice dell’Afghanistan Analiyst’s Network, ha puntato il dito sulla corruzione che imperversa a tutti i livelli dello stato islamico presieduto dal 2004 da Hamid Karzai. Mortalità infantile a livelli record, esodo di massa, conflitti etnici, la ricchezza del paese concentrata nelle mani del 5% degli afgani. Sempre il tedesco Tilgner ha preferito mettere in evidenza i week-end a Dubai degli alti burocrati afgani. Secondo lui non è che uno dei tanti tipi di corruzione che rodono il potere dall’interno.
lunedì 4 aprile 2011
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