mercoledì 25 maggio 2011

L'Euro o la Dracma, questo è il dilemma della Grecia

Alcune testate giornalistiche oggi hanno riportato le parole del commissario dell'Unione Europea Maria Damanaki che ha dichiarato a "rischio" la presenza della Grecia nell'Unione Europea. Secondo il commmissario: "La questione è semplice: Atene deve accettare il piano di austerità, altrimenti l'unica alternativa possibile è il ritorno alla dracma". A riferirlo è anche un'agenzia di stampa statale. Ora la moneta europea è una cosa seria. In circostanze normali, la gestione della moneta comune è già complicata. In tempi di crisi, come ora, richiede tatto, diplomazia, breve comunicazione e soprattutto un buon controllo dal centro. Ma purtroppo al momento non ci sono molti interventi sul modo migliore per aiutare i paesi in gravi difficoltà economiche della zona euro, come la Grecia, ad uscire dalla crisi. Una catastrofica cacofonia vaga nell'aria su come tra l'altro porre rimedio alla situazione di Atene. Per riepilogare, ovviamente il primo piano di salvataggio destinato a salvare dalla bancarotta la Grecia non è stato sufficiente. I greci hanno dallo scorso anno un prestito di 110 miliardi di euro, i due terzi forniti dall'UE, il resto dal FMI. Questo doveva permettere loro di far fronte alle scadenze impegnative più ravvicinate per poi tornare nel 2012 sul mercato per finanziare il loro debito. Irrealistico: la sfiducia è tale che Atene dovrebbe pagare tassi a due cifre, 16% o più, per vendere i propri titoli di Stato. Una missione dell'UE e del FMI sta attualmente discutendo un nuovo aiuto a beneficio del governo di George Papandreou. Il recupero fiscale per i piani già realizzati hanno convinto i mercati o Bruxelles. Ora si aspettano di più, da un ampio programma di privatizzazione preparato da Atene. Inoltre, il mercato, cioè i potenziali acquirenti del debito greco, stanno mettendo in discussione un punto fondamentale: che cosa è la capacità del paese di generare crescita negli anni a venire? Il caso è politico, naturalmente. Un rapido giro dei parlamenti nel nord della zona euro, compresa la Germania, ha misurato l'estrema riluttanza degli elettori a venire di nuovo in aiuto della Grecia. Di qui il sorgere della questione tabù: dobbiamo ristrutturare, in breve dobbiamo annullare una parte del debito greco? Questo sarebbe un colpo terribile per l'euro, la sua credibilità, e sarebbe un rimedio catastrofico per la Banca centrale europea. Ma distillata in piccole frasi sparse nei discorsi del ministro tedesco dell'economia, Wolfgang Schäuble, del suo collega del Lussemburgo e presidente dell'Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, ed anche abbozzato dalla francese Christine Lagarde, l'idea è trovare un modulo chiamato "soft", nei tempi di un pagamento scaglionato di alcuni dei debiti della Grecia. Ma alla fine, il danno è fatto: la cacofonia d'interventi tra loro danno l'impressione di un confronto su una possibile ristrutturazione. E senza nemmeno decidere nel merito, il danno c'è: i mercati fibrillano, l'euro va giù, le agenzie di rating del credito sono sul piede di guerra. A questo punto occorrerebbe un intervento unitario dei capi dell'eurozona per stroncare le varie dicerie. Con qualche probabilità in Grecia qualcuno vorrebbe tornare a utilizzare la propria moneta nazionale, deve essere chiaro che non le sarà mai permesso di farlo, perchè manderebbe in crisi tutte le banche dell'area euro. Un evento a cui nessuno acconsentirà. I greci dovranno fare sacrifici ancora più pesanti. Il governo greco intanto ha smentito le voci secondo le quali si sta pensando a un referendum sulle misure di austerità. Tutto ciò, dopo che il premier George Papandreou ha precisato che per far passare le misure di austerità, ci vuole un ampio consenso nazionale.

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