martedì 1 marzo 2011

Se aumenta il petrolio, traballa l'economia mondiale

Nel 2010, secondo quanto dichiarato dal Governato della Banca d’Italia, Draghi, ad un convegno del Forex della settimana scorsa, il PIL mondiale è cresciuto di circa il 5%, nel 2009 era diminuito di quasi l'1%. Il ritmo potrebbe assestarsi intorno al 3-3,5% nel 2011. Negli USA la crescita ha accelerato intorno al 3% alla fine del 2010; si è rafforzato l’aumento dei consumi. Identica la crescita prevista per l’anno in corso. Nelle economie emergenti lo sviluppo stimato per quest’anno e per il 2012 è intorno al 7%. Nell’area dell’euro la spinta più forte alla crescita viene dalla economia tedesca, grazie ai forti incrementi delle esportazioni e degli investimenti in macchinari e attrezzature. In Italia i tassi di sviluppo sono attorno all’1,3%. L’espansione produttiva si concentra nelle aziende esportatrici, in particolare in quelle grandi, rivolte alle economie emergenti. La domanda interna rimane debole, specie nei consumi, su cui gravano le incerte prospettive dell’occupazione e un perdurante ristagno dei redditi reali delle famiglie. Al miglioramento del quadro macroeconomico mondiale, al superamento del disordine finanziario creato dalla crisi, si accompagnano tuttavia vecchie e nuove fragilità. Tassi di crescita molto difformi possono facilmente accrescere la volatilità dei cambi e dei tassi di interesse, mettendo a repentaglio la solidità della ripresa. Le interconnessioni fra economie rendono il sistema vulnerabile anche a shock circoscritti. L’esito incerto della sollevazione che scuote la Libia preoccupa la comunità internazionale. L’impatto immediato di eventuali difficoltà di approvvigionamento di fonti energetiche dall’Africa settentrionale può essere contenuto dall’ampia capacità inutilizzata negli altri paesi produttori, ma le drammatiche vicende di questi giorni possono indebolire gli investimenti nell’industria petrolifera in quell’area, far rincarare l’energia, con ripercussioni sulla crescita mondiale. Un aumento del 20% del prezzo del petrolio determina, una minor crescita del prodotto di mezzo punto percentuale nell’arco di tre anni. Nell’ultimo triennio la crisi ha ampliato il disavanzo pubblico nell’insieme dei paesi avanzati di oltre 6 punti percentuali di PIL e il debito pubblico di quasi 25, fino a sfiorare il 100% del prodotto. Negli Stati Uniti e in Giappone un piano di consolidamento delle finanze pubbliche è difficilmente procrastinabile: l’OCSE valuta che solo per stabilizzare il rapporto debito/PIL di quei paesi entro i prossimi quindici anni sarebbe necessaria una correzione del saldo primario dell’ordine di 8-9 punti. In Europa già ci si confronta su due piani diversi che saranno discussi dai leaders a Bruxelles l’11 marzo prossimo, ed entrambi prevedono nuovi sacrifici per ridurre i disavanzi, contenere la crescita la spesa statale, raffreddare la dinamica salariale e attenuare gli effetti dell’inflazione giunta a fine febraio al 2,4%. Carburante di questa inflazione gli aumenti del petrolio con tutti i suoi riflessi sui trasporti, distribuzione, riscaldamenti e così via. A questo si aggiunge la galoppata che si è avuta negli ultimi 3 mesi sui prodotti alimentari, che hanno reso insopportabile le condizioni di vita per tanta gente dei paesi del terzo e quarto mondo, fascia sud del Mediterraneo, in primis. In alcuni paesi emergenti (BRIC soprattutto) le buone prospettive di crescita, i rendimenti elevati, attraggono ingenti capitali privati dall’estero; nel 2010 ve ne sono stati per circa 900 miliardi di dollari, equivalenti a quasi il 5% del prodotto di quei paesi. Gli afflussi, in presenza di una già forte espansione della domanda e di sistemi finanziari ancora non ben sviluppati, ingenerano inflazione e bolle finanziarie. La vivace dinamica dei prezzi che già si osserva in quelle economie, intorno al 6% in media e ben oltre il 4,5% in Cina, è in parte riconducibile al rincaro dei prodotti alimentari ed energetici, ma gioca anche l’accelerazione della domanda interna, essa stessa alla base dei rialzi nelle quotazioni internazionali delle materie di base. Questi aumenti, che penalizzano in particolare i paesi più poveri, potrebbero essere contrastati da apprezzamenti del tasso di cambio, peraltro necessari a ridurre gli squilibri globali nelle bilance dei pagamenti. Prossimo appuntamento di grande importanza sarà giovedì prossimo con la riunione del Consiglio direttivo della BCE per sapere se lascerà invariato il tasso primario di sconto.

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