martedì 15 febbraio 2011

L'euro una moneta che non corre rischi

Otmar Issing, uno dei “padri fondatori” dell’euro, in un articolo sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung del novembre scorso, che ha avuto una risonanza mondiale, ha ammonito i governi dell’eurozona che la sopravvivenza dell’euro è a rischio. Questo potrebbe avvenire se l'UE a 27 non rafforza la sua capacità di coordinamento della politica economica e legislativa al proprio interno. La crisi nata negli Stati Uniti, si è poi ripercossa sull’Unione Europea. Numerose sono le cause che hanno portato l’UE ad arrivare impreparata a gestire una crisi di natura globale, priva degli strumenti e delle procedure necessarie. Come spesso è avvenuto nella storia della integrazione europea, la crisi ha spinto la UE a prendere una serie di misure per rafforzare il governo dell’economia e la gestione delle crisi. Bisognerebbe, nel prossimo futuro, fare uno sforzo particolare per migliorare la comunicazione, per accrescere la trasparenza delle istituzioni e delle procedure per contrastare efficacemente la speculazione destabilizzante. Occorre un assetto istituzionale adeguato alle sfide economiche e finanziarie che la UE e l’eurozona sono chiamate a fronteggiare e che non richieda periodiche interpretazioni o emendamenti dei Trattati. Ma la UE non potrà risolvere i suoi problemi strutturali solo attraverso il consolidamento fiscale. Questo è necessario per stabilizzare i mercati finanziari e per lasciare più spazio agli investimenti privati. Ma occorre anche adottare una strategia di riforme strutturali per accrescere il potenziale di crescita dell'economia europea, per riassorbire la disoccupazione, specie quella giovanile, e per correggere gli squilibri di competitività all'interno dell'eurozona. Si tratta di riforme che riguardano tutti i paesi della UE. In sintesi, occorre portare avanti il completamento del mercato interno introducendo ulteriori liberalizzazioni nel settore dei servizi, come la grande distribuzione, i trasporti, le costruzioni, i servizi finanziari e professionali, dove la UE è rimasta indietro rispetto ai principali concorrenti. Occorre promuovere la piena integrazione dei mercati dell'energia, ancora frammentati a livello nazionale e dominati da monopolisti locali che impongono costi elevati alle imprese e alle famiglie. Inoltre, come indicato dal Rapporto Monti, è necessario rafforzare le infrastrutture fisiche che stanno alla base di un grande mercato interno, le reti di trasporti, di telecomunicazioni, di distribuzione dell'energia e dell'acqua. L'esperienza insegna che da questi processi di liberalizzazione e d'integrazione viene la spinta per la ricerca e l'innovazione che sono il presupposto per lo sviluppo di nuovi investimenti e della produttività. Si tratta di un’agenda ambiziosa e per certi versi impopolare nel breve periodo. Essa richiede quindi uno sforzo di leadership da parte dei principali attori europei. È una sfida non facile e sono state numerose le occasioni perdute per vincerla, da Maastricht, a Amsterdam, a Nizza, e, da ultimo, a Lisbona.
Diversa è la situazione dell’Italia da quella di altri paesi, cosiddetti, periferici per la struttura della sua economia, la solidità del suo sistema bancario e per le stesse prospettive della finanza pubblica. Per concludere vale la pena di ricordare le parole di Tommaso Padoa-Schioppa, un grande sostenitore dell'integrazione europea, scomparso nel dicembre scorso. In un libro scritto nel 2006, all'indomani del rigetto del Trattato costituzionale europeo, Padoa-Schioppa invitava l'Europa a esercitare una "pazienza attiva" e ammoniva che per: " completare la costruzione di un'Europa unita occorrono verità e chiarezza sulle questioni di fondo, rifiuto dell'ambiguità, spiegazioni convincenti del perché l'Europa sia necessaria tanto al benessere e alla sicurezza dei nostri Paesi quanto alla pace e all'ordine mondiale". È un ammonimento che mantiene tutta la sua validità ancora oggi.

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