domenica 20 giugno 2010

Il federalismo fiscale sembra il famoso sogno di Martin Luther King

Il federalismo fiscale dell' Italia somiglia sempre di più al famoso sogno di Martin Luther King, “I have the dream”. Oggi a Pontida, nel raduno dei militanti della Lega, Umberto Bossi ha sentito il bisogno di ribadire che con l’elezione dell’on. Brancher a Ministro del Federalismo, non è cambiato nulla. Calderoli e se stesso erano e saranno sempre i veri motori della madre di tutte le riforme. La strada di questa riforma sarà sempre di più in salita, perché dovrà limitare gli appetiti e soprattutti gli andazzi strani di assunzioni in alcune regioni indipendentemente di parametri di produttività, efficienza, e specializzazioni necessarie perché un ente regionale o provinciale o comunale possa rendere un servizio appropriato alla comunità. Basti pensare ai 4000 precari della Sicilia da stabilizzare in una regione che già conta 27.000 dipendenti regionali, a fronte dei 3.700 dipendenti della Lombardia e ai 3500 dipendenti del 118, che sono circa il doppio dei dipendenti del settore di tutte le regioni d’Italia messe insieme. Discorso medesimo per la Calabria con i suoi 20.000 lavoratori forestali, contro gli 800 lavoratori della Lombardia, che ha un’estensione quasi doppia del territorio, e si può continuare con la Campania con Napoli, con un numero eccessivo dipendenti, al Lazio dove la neo-eletta Governatora regionale in una trasmissione televisiva ha dichiarato candidamente, “ per il momento non posso fare il taglio dei posti-letto negli ospedali, in quanto non so quanti sono i letti esistenti”: Intanto basta ricordare le parole del Governatore di Banca d’Italia Mario Draghi pronunciate nelle sue “Considerazioni finali “ di fine maggio scorso: “ogni ente dovrà mantenere il proprio bilancio in pareggio al netto degli investimenti come previsto dall’art.119 della Costituzione. Fermo restando che l’ammontare della spesa locale per investimenti andrà fissato per un periodo pluriennale in coerenza degli obbiettivi d’indebitamento”. Alla fine per avviarsi sulla strada del federalismo fiscale occorrerà giocare una partita partendo dalle cosiddette “bocce ferme”. Con una caduta delle entrate pari al 2% del PIL e un aumento del deficit del 5% a fine 2009, occorrerà bloccare quelle istituzioni pubbliche che continuamente sforano i tetti, lasciando e premiando quelle istituzioni, che rispettando i vincoli, possano continuare a fare gl’investimenti programmati.
Negli USA il sogno si è avverato qualche generazione dopo, speriamo che in Italia occorra meno tempo.

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